È estate, fa caldo, ho centomila cose da fare e poca voglia di farle, il mio vicino pare abbia deciso di trascorrere luglio trapanando alle sette del mattino e mi pesa l’anima a leggermi un’altra fetecchia scritta da Goodkind. Per cui beccatevi questo articolo riempitivo.

Un articolo riempitivo a proposito delle dieci cose che mi fanno incazzare quando leggo un romanzo. La premessa è che mi trovo a contatto praticamente ogni giorno con pessimi romanzi, un po’ per sfiga, un po’ per sadomasochismo, e ultimamente comincio ad averne un po’ piene le cosiddette. Non penso che questo post abbia valore pedagogico. Non ho intenzione di mettermi qui a spiegare come scrivere decentemente un romanzo, per lo meno non ora. Voglio semplicemente far sapere a te, giovine scrittore italiano di belle speranze, che se nel tuo romanzo/racconto è presente anche uno solo di questi dieci tratti che mi appresto a elencare, ebbene, sei una persona peggio e hai tutta la mia deprecazione.

10) I due punti

Ho un problema coi due punti, penso siano un segno di interpunzione non indispensabile e spesso abusato. Dipendesse da me li eliminerei del tutto. Tranne in un caso, ossia quando servono a introdurre un discorso diretto. E anche quella è una cosa che sconsiglio caldamente di fare, se non quando si vuole caricare la frase tra virgolette di particolare solennità.

Si tratta comunque di un gusto personale. Non amo i due punti, non amo i punti esclamativi, non amo i punti e virgola. Non sono ancora al livello di Cormac McCarthy o di George Bernard Shaw (che deprecava gli apostrofi), ma, insomma, potrà starmi sulle palle qualche segno di punteggiatura non indispensabile e francamente abusato, no?

Vuoi scrivere? Bene, scrivi frasi semplici, con il minor numero possibile di subordinate.

9) La storia d’ammmoreH perchè la trama dice così

Da che mondo è mondo una storia d’ammmmoreH non si nega a nessuno, qualsiasi genere sia il libro che si sta leggendo. Può capitare che la storia in questione sia funzionale alla trama, che sia la trama stessa, che serva a creare conflitto o che sia lì solo per caratterizzare un personaggio. E poi c’è la storia d’ammmoreH messa lì solo perché a) la storia d’ammmmmoreH ci deve essere e b) la sua presenza serve ad allargare il mercato potenziale di un determinato romanzo rendendolo appetibile anche al pubblico femminile. Non è un discorso sessista – e anche se lo fosse, ‘sticazzi – ma semplicemente la constatazione di un dato di fatto. La storia d’amore sempre più spesso è un mezzo becero per allargare l’audience di un romanzo e renderlo più marketizzabile.

E quando ciò succede, si sente da morire.

8) Show don’t tell pesante

Lo so che c’è gente che ritiene lo show don’t tell una seccatura da puntigliosi, ma quando è troppo, veramente troppo, si sente. E fa schifo. Non sto parlando di chi si incristisce quando legge di drappeggi “riccamente decorati”, no, a me quello non dà fastidio. Sto parlando proprio delle basi.

Quando leggo “Mario era triste”, “Romualdo era felice”, “Adalgisa era preoccupata” mi sale l’urto del vomito. Perché è una cosa di una pigrizia sconcertante.

Il motivo per cui molti insistono, quando si parla di buona scrittura, sullo show don’t tell è che l’autore che dice e non mostra in sostanza dà istruzioni al suo lettore sulle emozioni che deve provare in un dato momento. Quando in un testo leggo “Mario era triste” l’autore mi dice “Guarda com’è triste Mario. Dispiaciti per lui, stupida merda!”.

Il problema è che a molti lettori non fa piacere ricevere direzioni così palesi sulle emozioni che devono provare di fronte a un testo. Mario è triste, d’accordo, ma non puoi tu autore trovare un altro modo per comunicarmelo? Un modo in cui io lettore arrivi a provare empatia con il personaggio – e quindi a interessarmi del fatto che sia triste anziché prendere la cosa come un dato di fatto imposto dall’alto dei cieli da un autore troppo negato per “farmi vedere” ciò che scrive.

7) Incipit scritti a culo

Sapete di cosa sto parlando. Mi capita spesso di leggere una badilata di fantasy e quello degli incipit scritti a culo è un problema che li accomuna quasi tutti. In genere perché gli autori di belle speranze sono convinti che il fantasy sia un genere particolarmente solenne e richieda pertanto un’apertura aulica.

Breaking news: è un genere come tutti gli altri.

Non mi interessa una beata fava di leggere un intero capitolo che parla della genesi dell’universo o di come il grande impero di ‘sto gran cazzo abbia conquistato il potere per poi collassare su sè stesso e frammantarsi in una serie di piccoli staterelli confederati in perenne lotta tra loro.

Una delle regole pià importanti della scrittura, e che gli scrittori spessissimo dimenticano, è che non si scrive per vincere il premo Pulitzer per la fiction così come non si scrive per fare avere un orgasmo ai vuminghi. Si scrive affinché il lettore possa dire: “Cazzo, che figata!”. E per far succedere ciò non c’è bisogno di scrivere un romanzo che fantasy che in realtà è l’allegoria della decadenza del capitalismo nella società contemporanea.

Bisogna. Far. Succedere. Qualcosa.

A cominciare dall’incipit. Lasciate perdere la backstory, cestinate l’infodump, eliminate tutte le informazioni non richieste. Prendete un protagonista, affibbiategli dei tratti di personalità che lo facciano legare con il lettore, e mettetelo in una situazione di conflitto. Ecco, catturato l’interesse del lettore. Visto che non è difficile?

6) Bello = buono, brutto = cattivo

Questa è una cosa che mi è capitato di leggere nei romanzi degli scrittori più scadenti, il vecchio paradigma de i buoni sono tutti belli e i cattivi sono tutti brutti. O, per riformulare meglio, tutti quelli che vogliono male al protagonista sono brutti, come se il solo fatto di non amare alla follia il personaggio principale (che di solito è un alter ego dell’autore) fosse una colpa punibile con l’imperitura bruttezza.

C’è una notevole eccezione in quei paranormal romance in cui il cattivo è seducente e quindi bello come il sole un angelo decaduto. Ma anche lì, non è veramente un cattivo, quanto più una figura di seducente tentatore.

Quasi nessuno scrive di protagonisti brutti, sfigurati, senza un braccio, con un carattere di merda (volontariamente, perché spesso e volentieri una buona fetta dei protagonisti di certi libri sono intollerabili, ma ciò accade perché l’autore è pessimo nel settore caratterizzazione) o, dio ce ne scampi, paralitici. Il che, a ben pensarci, è ridicolo. Perché sei uno scrittore, dovresti essere alla ricerca del conflitto, e cosa crea conflitto meglio di un serio difetto fisico/psicologico che colpisce il protagonista? Sul serio, che problemi vuoi che abbia una strafiga o la sua controparte maschile? I problemi che ha Bella di Twilight: che tutti la amano e ha tropp inviti per il ballo scolastico. Sai che tragedia…

5) Il fottuto Predestinato

Questo è qualcosa che chiunque legga fantasy conosce e schifa. Il Predestinato è colui che, solo tra tutti i mortali, può compiere questa difficilissima missione e salvare il genere umano dall’Evil Overlord di turno.

Perché lo odio? Rientra nella discussione che il protagonista, per essere degno di considerazione, dovrebbe come minimo presentare alcuni tratti che lo rendano normali. Uno è la personalità, di cui al punto sopra, e un altro è la motivazione. Il protagonista non deve fare ciò che fa perché sì, ma perché ha un interesse personale nel farlo.

Situazione: l’esercito dei temibili orchetti-superdotati-con-le-corna-da-cervo sta invadendo Boscoquieto perché sono cattivi ed è quello che i cattivi fanno (vedi punto 3). Il buon Gary Stu è il figlio di un taglialegna che vive proprio a Boscoquieto quando arriva la notizia che l’esercito degli orchetti-superdotati-con-le-corna-da-cervo è a due giorni di marcia dal borgo. A un certo punto arriva Romualdo, un uomo che dice di essere un mago (e deve essere per forza un mago, perché ha la barba a punta), che comunica al buon Gary Stu che lui e solo lui, in quanto discendente della stirpe imperiale che un tempo fondò il grande impero di ‘sto gran cazzo (quello che poi è collassato su sé stesso, frammentandosi in una miriade di staterelli), è in grado di fermare l’orda degli orchetti-superdotati-con-le-corna-da-cervo.

In nove romanzi fantasy su dieci Gary Stu accetta il suo destino e diventa il Prescelto.

Nel fantasy che vorrei leggere Gary Stu guarda Romualdo e gli dice:

E prende la sua famiglia e si mette in salvo. Perché è quello che una persona normale farebbe. Ora, capisco che non titti i romanzi, specialmente quelli di speculative fiction, debbano parlare di persone normali. Lo straordinario è proprio quello che si cerca quando si leggono determinati generi. Ma affrontare da soli un esercito di orchetti-superdotati-con-le-corna-da-cervo solo perché te l’ha detto un vecchio pedofilo non è straordinario, è stupido. E non mi piace leggere di gente stupida.

4) I buoni vincono sempre

Non fraintendetemi, non ho niente in contrario agli happy ending, anzi, quando trovo un protagonista per cui tifare (non tutti i protagonisti si meritano ciò) sono il primo a desiderare che, alla fine della storia, tutte le cose gli vadano per il verso giusto.

Ma ci sono alcune storie in cui il lieto fine stona. Sono quelle in cui è forzato perché l’autore non se la sentiva di far perdere i buoni. Eppure, realisticamente parlando, è proprio quello che succede nella vita di tutti i giorni: di rado i buoni vincono e i cattivi ricevono la giusta retribuzione per le loro nefandezze.

Senza contare che poi il far vincere sempre i buoni implica spesso l’utilizzo di espedienti quali il deus ex machina che risolve magicamente la situazione, il che è ancora peggio. In realtà ora non sto pensando a un libro ma al finale della seconda stagione di Misfits (che non spoilero). Ecco, quello è un esempio perfetto.

3) Il cattivo ammazza i coniglietti

Odio quei romanzi in cui l’unico tratto distintivo del cattivo è essere cattivo perché sì. La cattiveria fine a sè stessa o derivante da una visione distorta e grottesca della realtà è stupida. HURR DURR I WANNA CONQUER THE WORLD!

Ancora una volta, in un mondo realistico, i cattivi, perfino gli Evil Overlord, sono comunque persone dotate di una caratterizzazione psicologica. Ergo, devono avere delle motivazioni.

Il Signore della Fortezza Oscura vuole conquistare il mondo lasciando dietro di sé solo desolazione e morte? Ok, ma perché? E, no, non mi accontanto di “perché vuole dominare il mondo”. Il cattivo deve essere spinto da una motivazione sensata – sia essa pratica come un casus belli, oppure derivata dalle caratteristiche psicologiche intrinseche al personaggio. I “cattivi” nelle Cronache di Martin, ad esempio, sono quasi sempre motivati da bramosia di potere, mentre un villain in cui il movente è morale e psicologico, ma non per questo messo lì a cazzo, è Anton Chigurh di Non è un paese per vecchi.

Insomma, odio quando il cattivo per affermare la sua cattiveria risolve di ammazzare i coniglietti. Preferisco una seria caratterizzazione psicologica.

2) Dialoghi che suonano falsissimi

Questo è un problema che accomuna il 90% degli autori italiani che ho avuto la possibilità di leggere. Gente, nessuno parla nel modo in cui scrivete. Nessuno.

Nel mondo reale la gente non fa monologhi di una pagina né racconta la propria backstory, né si sofferma a fare infodump. Nella vita di tutti i giorni nessuno usa termini troppo complessi o una costruzione del periodo particolarmente elaborata. Quando parla, la gente normale non suona come un libro stampato. La gente normale usa modi di dire, espressioni particolari, inside joke, si impappina, si ripete, commette errori, si blocca a metà frase.

OMG, sarà mica caratterizzazione del personaggio? Proprio così, miei cari, proprio così.

1) Esopo, esopo, esopo

Ma la cosa che mi fa incazzare più di tutto-tutto-tuttissimo-per-dieci-alla-nona quando leggo un romanzo è la morale, specialmente se viene infilata a forza nella testa del lettore.

O meglio, quando la morale non deriva dalla storia ma la storia deriva dalla morale. Un autore che prima si dice: “Dovrei parlare della situazione di instabilità economica in cui vertono i lavoratori precari e della società postcapitalista che l’ha causata” e poi decide di farlo in un romanzo fantasy/horror/fantascientifico non si merita l’appellativo di scrittore. Forse pallone gonfiato con il vezzo dell’imbrattare carte, ma anche su quello ho i miei dubbi.

Non è una sorpresa trovare la necessità di avere a tutti i costi una morale anche se questa va a discapito della storia al primo posto di questa top 10, del resto ci avevo già rantolato sopra a gennaio. Eppure continuo a trovarmi di fornte a gente che non ha capito che asservire la storia alla costruzione di una morale non solo è sbagliato, ma rende anche il prodotto finale una schifezza. Nel rant di sei mesi fa concludevo con:

Il fantastico italiano farebbe meglio a trattenersi dall’esplorare e sviscerare temi di impatto politico, culturale e sociale non perché detti temi non gli appartengono direttamente, ma perché, prima di tutto, non si può assegnare la trattazione di qualcosa di così importante ad autori che non sono in grado neanche di fare buona narrativa.

Perché, per me, la narrativa dovrebbe funzionare così: prima scrivi una storia non decente ma ottima, cioè fai il tuo lavoro di scrittore, e poi – e solo poi – puoi permetterti il lusso di affrontare divagazioni filosofiche.

E ora non posso che autoquotarmi.

But wait, there’s more!

Punto bonus: se hai quattordici anni (anche mentali), una vagina e un surplus di ormoni, non scrivere MAI di vampiri, demoni e altre creature soprannaturali.

Also, le fan fiction sono il male. Perché lo dico io. E perché è vero.