Consentitemi per un attimo di fare quello che ha appena scoperto l’acqua calda.
Da neanche un mesetto sono proprietario di un Samsung tablet che ora è mio figlio. Dal punto di vista del blogger è comodissimo: la recensione dell’ultimo romanzo di Goodkind, ad esempio, è stata scritta interamente da tablet (ed è per questo che è zeppa di refusi, ebbene sì, ho le dita grosse e i tastini sono piccoli) sui mezzi pubblici milanesi. Inoltre, il tablet ha mandato in pensione il vecchio ereader e da dicembre ho letto in pratica solo libri digitali piratati o, non di rado, con mia grande sorpresa, acquistati legalmente su Amazon o altri store online.
La comodità è impressionante. Il livello qualitativo dell’esperienza di lettura idem. In effetti confesso che solo ora comincio a capire sul serio chi parlava di rivoluzione digitale e degli ebook che manderanno in pensione i libri cartacei.
Il futuro dell’editoria è digitale.
Piccolo problema: il futuro dell’editoria, pur avviandosi verso una crescente digitalizzazione, resta ancora nelle mani di quei figuri ingombranti chiamati editori.
L’editore per sua natura è conservatore e quindi resistente al cambiamento. L’ebook è un nuovo, vastissimo mercato e l’editore conservatore, che cerca di mantenere la sua nicchia di mercato cartaceo che si è creato pubblicando paranormal romance per minus habens o harmony finti BDSM per casalinghe disperate, sulla falsariga di quelli che, ahimè, sono i più recenti casi letterari, difficilmente cercherà di innovare. Davanti a una nuova realtà di mercato tenderà – e tende, come possiamo osservare, banalmente, facendo un giro su Amazon – a conservare e riproporre le vecchie logiche dell’editoria cartacea.
Solo che il digitale non è la carta. L’ebook non è il romanzo. Cosa che alla quasi totalità degli editori italiani sfugge.
Ad esempio si veda l’annosa questione dei prezzi. L’ebook non è un oggetto fisico, è un file – o, nella più deprecabile delle sue forme, una licenza per utilizzare un file – per cui va da sé che il prezzo dell’ebook-bene-di-consumo si calcola diversamente rispetto a quello di un libro cartaceo. Non bisognerà, ad esempio, pagare tipografia e legatoria, né la carta e i costi di trasporto e logistica. In un mondo che risponde alla logica della teoria economica, i soldi se li dovrebbero spartire l’autore, l’editor, chi ha impaginato l’ebook, l’illustratore, l’eventuale traduttore e l’editore – perché qui non siamo dei sozzi comunisti e crediamo nel valore economico dell’imprenditorialità.
Invece come ragiona una casa editrice italiana quando si tratta di convertire il proprio catalogo in formato digitale? Cito dal blog della Fanucci:
dopo la recente fiera di Francoforte in cui ho dialogato con i principali agenti letterari che rappresentano il 90% dei nostri autori sulle questioni relative alla pubblicazione dei nostri titoli in formato e-book, possiamo finalmente rispondere a quanti di voi ci chiedevano aggiornamenti.
Circa i tempi di pubblicazione in formato e-book delle varie novità rispetto alla pubblicazione in formato libro, ci sono diverse situazioni; c’è chi ha acconsentito alla pubblicazione simultanea (pochissimi), chi dopo un periodo minimo di sei mesi (la maggioranza), e chi oltre sei mesi. Quindi procederemo alla realizzazione immediata degli e-book attenendoci alla volontà dell’autrice/autore. Circa i titoli di catalogo, li stiamo lavorando e, man mano che saranno pronte le versioni e-book, li metteremo in vendita. Per quanto riguarda il prezzo invece, tutti sono d’accordo nell’applicare una riduzione del 30% sul prezzo dell’edizione più economica in commercio
Il che significa che, ad esempio, Londra tra le fiamme di Joe R. Lansdale, prezzo di listino 9,90 €, in versione digitale verrebbe a costare poco più di 6 €. Che non sono moltissimi, ma per un ebook sono già troppi. Pensate poi a una nuova uscita che costa magari 21 €, il prezzo digitale si assesterebbe intorno alla mitica cifra dei 14,90 €, che è proprio una presa per il culo, scusate la brutalità. Tra poco esce un libro che mi interessa parecchio e che si chiama A Natural History of Dragons (già l’ho menzionato nel post sui libri da tenere d’occhio nel 2013), ma su Amazon il prezzo di listino dell’edizione digitale è 14,43 € e quindi potete scordarvi che lo compri per vie legali.
Come rivela il post della Fanucci, la responsabilità di questa magagna è un po’ dell’editore, un po’ del publisher internazionale, un po’ dell’agente letterario. Insomma, del sistema che circonda il libro.
Ma soprattutto si cerca di traslare logiche obsolete in un mercato a cui non appartengono. E, no, non è un discorso di prezzi. Sto parlando anche del libro digitale in quanto tale.
Per il mercato editoriale esiste una corrispondenza biunivoca tra ebook e libro e questi due oggetti non si legano a null’altro. L’ebook è solo la forma digitalizzata di un romanzo.
Ebbene, non è così. L’ebook è un file, qualcosa che, sì, da un lato si presta a molte critiche per il suo essere intangibile, ma dall’altro può fare di questa sua intangibilità la sua forza. Per esempio puoi sceglierlo, comprarlo e cominciare a leggerlo in meno di un minuto. Puoi evidenziarlo, appiccicarci segnalibri virtuali e scriverci su note senza per questo rischiare di essere gettato nel pozzo senza fondo dell’angoscia e del tormento a cui sono destinati tutti coloro che spiegazzano o rovinano in qualsiasi altro modo un libro cartaceo. Puoi autopubblicarlo con agilità (a volte, a dire il vero, un po’ troppa agilità) e venderlo a 90 centesimi.
L’ebook consente una libertà che non era prevista nel vecchio mercato incentrato sul libro cartaceo. Si possono sperimentare nuove forme di narrazione, di scrittura, di pubblicazione. Basta quel minimo di coraggio che le case editrici non hanno ancora mostrato di possedere, ma che già molti scrittori, per lo più indipendenti, hanno già saputo trovare.
Un esempio di questa maggiore “libertà digitale” che trovo personalmente stimolante deriva, pensate un po’, dal passato remoto della letteratura. Nel senso che era già vecchiotto ai tempi di Charles Dickens, ma che ora, grazie agli ebook, potrebbe (me lo auguro) rinascere in modalità simili ma rinnovate.
Sto parlando, udite udite, della narrativa serializzata a episodi.
Non si tratta di un concetto nuovo. Tralasciando Sherlock Holmes, Rocambole e i romanzi di appendice dell’Ottocento, la strada della narrativa episodica era stata intrapresa anche in tempi più recenti. Era il 2000 quando Stephen King (scrittore da sempre amante delle sperimentazioni in digitale – e ricco abbastanza da potersele permettere) scriveva, auto pubblicava sul suo sito web e vendeva a 1$ gli episodi della sua novella epistolare The Plant. Nei progetti dell’autore, questa “nuova” forma di editoria sarebbe diventata l’incubo incubo delle grandi case editrici. I tempi però non erano ancora maturi, come si dice, le vendite decrebbero, i profitti crollarono e la novella rimase incompiuta. Se lo zio Steve avesse aspettato una decina d’anni, magari a quest’ora il romanzo sarebbe stato completato.
Ci sono stati dei casi più recenti, e su tre di essi vorrei puntare un attimo il riflettore – era l’idea alla base di questo articolo ma, come sempre, ho divagato.
Il primo è The Human Division di John Scalzi.
John Scalzi, per chi non lo conosce – e in Italia non avremmo motivo di farlo, visto che di suo è stato tradotto solo Old Man’s War per la Gargoyle e poi penso sia finito nel dimenticatoio – è uno scrittore statunitense e presidente della Science Fiction and Fantasy Writers Association of America. inoltre blogga con costanza dal 1998 e ama fare foto con facce strane.
Il suo ultimo lavoro è la serie di tredici ebook a puntate The Human Division, ambientata all’interno dell’universo di Old Man’s War, che viene pubblicata con regolarità ogni martedì sui principali negozi online a 0,76 € per episodio. Si tratta di racconti autoconclusivi che, presi nel loro insieme, raccontano una storia comune. Personalmente ho letto il primo, mi è piaciuto, e ho acquistato il secondo.
The Human Division, pur essendo l’esempio che la pubblicazione digitale episodica interessa ancora i grandi autori e non solo i piccoli scrittori indipendenti, presenta un grande limite: è una storia già scritta, già conclusa, e che sta solo venendo pubblicata a pezzi come un racconto di Lovecraft su Weird Tales.
Per me, invece, il vero punto di forza di un romanzo episodico pubblicato nell’era di internet è il feedback immediato che l’autore può avere con il lettore. Un po’ come per le serie televisive statunitensi che, diversamente da quelle trashate senza speranza e cervello che prendono il nome di fiction italiana, vengono prodotte un tot di episodi alla volta e modificate per integrare nella storia le reazioni del pubblico. Ad esempio, in Breaking Bad (che se non avete visto, FATELO NAU), Jesse Pinkman doveva venire ucciso nel climax della terza stagione. Il problema è che Jesse è uno dei personaggi preferiti dell’intera serie e il rapporto che lo lega a Walter è, per i fan, più importante di un climax sconcertante. Allora gli autori di Breaking Bad hanno deciso di tenere in vita Jesse e tutti sono stati contenti.
E se i puritani della Scrittura come Unica forma d’Arte che riflette l’Io e l’Intimità dell’Autore che dell’Opera è il Padrone Assoluto in questo momento stanno avendo dei conati di vomito alla sola idea che un Autore debba modificare la sua Opera Perfetta per assecondare gli inutili plebei che hanno speso soldi per leggerla… beh, lo sapete come la penso. Il pubblico in molti casi avrà delle opinioni su ciò che legge, e in gran parte dei casi queste opinioni saranno più intelligenti di gran parte delle recensioni su aNobii. A volte, perfino, il lettore riesce a vedere qualcosa in una storia che all’autore, ormai abituato alla sua voce di narratore, può essere sfuggito. Ad esempio, il personaggio X che per l’autore è un ribelle, al lettore suona solo come un cafone lamentoso. Oppure il personaggio minore Y è molto più interessante del protagonista. Oppure ancora se il personaggio Z avesse una relazione con Gina anziché con Bernarda la storia non solo più interessante, ma anche psicologicamente plausibile. Tutte cose che possono capitare. Magari l’autore ama a tal punto X da non rendersi conto di quanto suoni arrogante anziché anticonformista, magari Y è stato creato per puro caso e l’autore non ha realizzato di avere tra le mani un piccolo tesoro, magari Z ama Bernarda perché l’autore ha deciso così e ha dato in seguito per scontata tale decisione.
Il feedback immediato del pubblico e anche della critica può essere molto utile per creare una storia migliore. Certo, stando ben attenti a non snaturalizzare la storia per compiacere i propri lettori.
Attualmente sto seguendo due serie di romanzi episodici autopubblicati di autori italiani che, a differenza di The Human Division, non sono già belli che terminati e aspettano solo di essere caricati su Amazon e che quindi, potenzialmente, rientrano nella categoria di quelle opere che potrebbero essere influenzate dal feedback dei lettori.
Si tratta di Canti di sangue e amore di Gianni Falconieri e Deserto rosso di Carla Monticelli.
Di Canti di sangue e amore è disponibile da qualche mese su Amazon a 0,89€ il primo volume, intitolato Alba di guerra. Si tratta di un fantasy di quelli che piacciono a me, molto tetri e violenti e poco eroici. Devo ammettere in tutta onestà che avrebbe potuto essere meglio, specialmente per una cura non proprio impeccabile nel reparto editing (d eufoniche, d eufoniche everywhere) e un tentativo un po’ impacciato di forzare il world building nel primo dei tre capitoli che si è trasformato, come era logico immaginare, in una buona dose di infodump. E, elephant in the room, il progetto grafico di copertina è ad andar bene questionabile. Ripeto, in tutta onestà non si avvicina neanche lontanamente a essere perfetto, tuttavia, sarà forse per il genere che è anche il mio preferito, sarà perché ha destato la mia curiosità, penso che la storia abbia delle potenzialità e, dopo averne avuto un assaggio, sono interessato a continuare nella lettura.
Gianni Falconieri è il proprietario di fantasy-italiano.com e scrive per Finzioni. Alba di guerra – Canti di sangue e amore #1 è uscito nel dicembre 2012. Non ho idea se il resto sia già stato scritto o se si tratti di un work in progress.
Deserto Rosso di Carla Monticelli, invece non è, al contrario di quanto il titolo possa far supporre, un romanzo che parla del Partito Democratico, ma uno sci-fa che narra le vicende dell’equipaggio della seconda missione spaziale umana su Marte che, dopo un incidente, attende che dalla Terra si sbrighino a riportarli a casa. Sono stati pubblicati due dei quattro episodi che compongono la serie, uno, Punto di non ritorno, a giugno 2012 e l’altro, Abitanti di Marte, a novembre sempre del 2012, mentre un terzo è previsto per la primavera di quest’anno. La ragione per cui ci sono circa cinque mesi di distanza tra una puntata e l’altra è che le quattro parti che compongono Deserto Rosso sono lunghe, in entrambi i casi si va oltre le 20.000 parole. A 0,89 €. e con cliffhanger di fine episodio.
Punto di non ritorno è stato il primo romanzo autopubblicato che ho acquistato attraverso transazioni economiche legali e riconosciute dal commercio internazionale e dalle normative UE. Prima ero convinto che tutti i romanzi autopubblicati fossero spazzatura. Ora, dopo averlo letto, penso che solo l’80% dei romanzi autopubblicati siano spazzatura. E Deserto Rosso in questo 80% decisamente non ci rientra. Come ho già avuto modo di twittare all’autrice (perché mi piace far sapere che apprezzo il lavoro di chi se lo merita) Punto di non ritorno è come penso debba essere ogni romanzo indipendente: curato nella forma e nello stile, buona trama, eccellente caratterizzazione, prezzo competitivo.
Ciò detto, per la questione del feedback, che dovrebbe essere il punto focale di questo articolo, c’è da notare che, con solo quattro episodi (anche se quattro corposi episodi), forse Deserto Rosso non si presta a essere modificato a seconda della risposta del pubblico. Tuttavia leggo sul sito della Monticelli
Le quattro puntate saranno poi riunite e riorganizzate in un unico romanzo, che sarà disponibile anche in versione cartacea e che potrebbe in parte differire dalle novelle originali, in base al feedback degli stessi lettori.
Commento che trovo decisamente incoraggiante.
Per cui, rivoluzione digitale. Cominciamo un po’ a pensare al di fuori degli schemi triti, ritriti e putrefatti dell’editoria tradizionale, ok?
E, certo, rimane sempre il problema dei lettori, che in Italia non solo leggono pochi ebook (perché il profumo della carta rulla sovrano – e perché, seriamente, l’editoria tradizionale sta facendo tutto il possibile per uccidere un mercato che comunque e in ogni caso è in crescita inarrestabile) ma sono anche per natura diffidenti nei confronti delle nuove forme di pubblicazione. Che poi tanto nuove non sono, perché anche Arthur Conan Doyle fu costretto a “modificare” la storia di Sherlock Holmes a seguito del feedback dei lettori. Ma siamo già a 2.500 parole, ed è sabato mattina. Direi che questa è un’altra storia, per un altro giorno.
Grazie per la segnalazione. E per le giuste critiche. Anche se il grafico frustrato che vive dentro di me ha pianto per quella sulla copertina…
Purtroppo finora ho dovuto auto-editarmi, anche se dopo il primo volume pubblicato qualcuno ha già cominciato a darmi dei preziosi feedback. A questo proposito, da qualche giorno è disponibile una seconda edizione in cui molti dei refusi sono stati eliminati (almeno lo spero). E comunque non le maledette “d” eufoniche.
Mi permetto di aggiungere anche che gli episodi sono già tutti scritti, ma per le imperfezioni che tu stesso hai segnalato, mi ci vuole molto ad editarli. Sono dieci e costituiscono il primo romanzo della saga, con finale autoconclusivo almeno per la storia principale. Dato il grande numero di sotto-trame però ho intenzione di aggiungere o togliere qualche personaggio al baraccone, starà ai lettori decidere quale, io ci metterò solo tanta crudeltà 😉
Io stra-quoto ogni parola. Hai detto tutte cose che pensavo da un sacco di tempo, e cioè da quando ho acquistato il mio ebook reader. Il futuro dell’editoria è il digitale, e se non lo riescono a capire sono dei parrucconi degni della vecchiaia reale e ideologica di questo paese. La questione dei feedback “in corsa”, per così dire, è veramente una figata mostruosa, non sapevo venisse praticata! Spero possa sbarcare presto in Italia.
Ti lascio con un aneddoto, per farti capire quanta strada ancora bisogna percorrere per vedere dei cambiamenti in questo campo.
Guardavo la rubrica “Billy” del TG1 con mia mamma e stavano parlando della rivoluzione del digitale. Lei mi guarda e dice:
-Eh ma il cartaceo non potrà mai essere sostituito.
-Mamma, sta già accadendo. Non si può fermare, ed era anche ora. E’ solo una summa di sprechi. Quanti libri hai letto nell’ultimo anno che ti abbiano fatto dire “questo romanzo è valso la cifra esorbitante che l’ho pagato e l’albero che è stato abbattuto per stamparlo”?
-…Praticamente nessuno…
E’ una piccola battaglia che ho vinto, ma siamo ben lungi da vincere la guerra.
Visto che la pensi in questo modo, perchè non posti una parte del romanzo che stai scrivendo, hai scelto pure il titolo e sei a buon punto no? Noi potremmo darti dei feedback e tu potrai sapere cosa ne pensa il tuo pubblico (e io in particolare potrei scopiazzare un po’ di roba… ehm).
Ti confesso che sto seriamente pensando da un po’ alla pubblicazione episodica – è anche uno dei motivi che sta dietro a questo post, in effetti. Però metto le mani avanti: proprio mentre sto scrivendo, c’è di fianco a me un blocco per gli appunti su cui mi sono segnato tutte le cose da cambiare quando riscriverò i due capitoli iniziali (piccole cose, più che altro eliminando due POV di troppo e cercando di rendere il prologo un po’ meno scontato). Sono uno che riscrive parecchio, prima di pubblicare a episodi devo essere sicuro che quello che faccio leggere ad altri sia più che valido – altrimenti sarei un bell’ipocrita…
Concordo, anche io ho più volte pensato a una cosa simile. Immagino che se si volesse avere un impatto simile a quello delle serie tv, il requisito necessario sarebbe (anche questa è una scoperta dell’acqua calda) un pubblico *sostanzioso*. Intendo frotte di utenti che bramano ogni singolo episodio. E con cadenza settimanale, per 6-8 mesi, la cosa assumerebbe un po’ la concezione di “tassa” (anche se minima, poniamo 10-20 cent per episodio).
IMHO, così come grosso modo si fa negli States, sarebbe preferibile se gli introiti venissero da terzi (pubblicità) piuttosto che dagli utenti stessi.
Dopo tutto, i film si pagano, mentre le serie tv/sit com talvolta vengono offerte gratuitamente in rete, proprio in virtù del fatto che lo stesso prodotto non sarebbe più l’episodio, ma lo sponsor, mentre l’episodio diventerebbe il mezzo. Così ci guadagnerebbero tutti.
L’unica pecca è che una cosa simile funzionerebbe con grossi nomi. Forse.
È più o meno quello che sto facendo nel mio piccolo spazio web, anche se con modalità diverse. Storie divise in volumi di 36-50,000 parole, archi narrativi di due o tre episodi e un prezzo contenuto: 0,99 euro per ogni volume.
In più c’è la possibilità di scaricare gratis ogni singolo episodio.
Il feedback mi sarebbe utile per sapere se sto andando nella direzione giusta o sto correndo verso il baratro, però onestamente non so quanto influirebbe sullo sviluppo di una storia l’opinione dei lettori. Le storie che scrivo sono pianificate con largo anticipo, le trame e i personaggi più di tanto non possono variare e gli episodi, più che capitoli, sono romanzi brevi con un inizio, uno svolgimento e una fine.
Difficile cambiare in corsa dopo che ho trascorso una quindicina di mesi a fare worldbuilding e schede dei personaggi. Se dopo tanto lavoro dietro le quinte i personaggi sono ancora piatti e l’ambientazione è vaga e poco credibile, cambiare qualche particolare non servirebbe a molto. Tanto vale buttare via tutto e ricominciare da capo o concentrarsi su altro.
A parte il tentativo velato – ma nemmeno tanto! – di farmi pubblicità, l’idea di pubblicare a puntate e tenere conto dell’opinione dei lettori non è certo nuova. Mi vengono in mente i romanzi d’appendice e i classici fumetti giapponesi (che poi vengono riuniti in volumi più corposi). La differenza è nel mezzo di diffusione, perché internet consente uno scambio di opinioni praticamente immediato.
Quello sollevato dall’articolo è un concetto interessante, trovo però che il paragone con i serial possa essere un pelo fuorviante.
Imho libri e serial tv sono media differenti (you don’t say?) ma, per quanto sia ovvio che lo siano a livello di trasmissione di messaggio, lo sono molto di più come impatto economico.
Io sono un gran fautore della libertà individuale (sono come Goodkind! Ahhhhh!!) e della produzione libera da limitazioni, ma sono anche un economista e so che, alla fine della fiera, il mercato vince.
Ora i serial tv seguono più o meno questo schema (con ovvi casi fuori schema aka the wire, sherlock e altre): 1° serie spettacolare, 2° serie una merda, 3°, 4°, 5° etc, dipende.
La prima serie è scritta in totale libertà, la seconda spesso si decide di farla dopo aver visto i risultati della prima ed è un po’ raffazzonata, da li in poi dipende dagli sceneggiatori e da tutto il resto.
Il problema di fondo è che quando un sistema simile raggiunge un vasto pubblico scatta la censura, e non la censura che c’era su capitan harlock quando eravamo bambini, ma l’autocensura economica: omg se pippo muore di asfissia autoerotica non mi faranno fare la 3 stagione! Se pluto abortisce perderò metà del pubblico!
Questo purtroppo esiste già di base, uno scrittore che non sia posseduto dal demone dello scrivere ma voglia scrivere per avere il suo best seller scriverà mainstream, basta guardare quanti cazzo di vampiri sono usciti dopo la meyer o maghetti dopo la rowling, si scrive per accontentare il pubblico.
E come tu mi insegni il pubblico è nel migliore dei casi idiota.
Ora se tu scrivessi un libro e arrivassero Gamberetta, il Duca e Zwei a dirti “qui show don’t tell” “qui la penetrazione di una freccia sulla tua armatura di cuoio è irrealistica” “qui devi violentare almeno 3 donne meglio se una è minorenne e una morta” allora ti do perfettamente ragione, sarebbe un sistema spettacolare.
Ma la verità è che arriveranno strazzulla, troisi e rocca a dirti “fai tirare frecce alla ragazza” “falli innamorare *_* ” “usa vocaboli desueti e favellar forbito”, le milf falso bdsm, i bimbiminchia e i militanti del moige.
Ora se tu fossi uno scrittore vero non li ascolteresti e andresti per la tua strada, quindi perchè dargli diritto decisionale in merito?
Lo faresti se ti interessa vendere a queste categorie e torniamo al punto di sopra.
Uno scrittore deve saper ascoltare le critiche e questo è ovvio, ma le critiche hanno un peso diverso e spesso, i migliori criticano un opera compiuta come è giusto che sia (tranne ancess ma nessuno ne vuole a gamberetta per quello :D).
Ripeto che è un ihmo, ma se dovessi fare un libro a puntate lo scriverei prima tutto, lo pubblicherei come mi aggrada (a puntate è come pagare a rate e spesso è un sistema preferibile) e poi userei le critiche per un secondo libro.
Ma rimane cmq la mia opinione.
Devo dire che l’idea non è male, però rimango comunque molto scettico. Ebbene si! Io sono un ‘puritano della Scrittura come Unica forma d’Arte che riflette l’Io e l’Intimità dell’Autore che dell’Opera è il Padrone Assoluto’ ;). Non penso gioverebbe alla letteratura questo approccio ‘televisivo’. La tv è un mezzo d’intrattenimento di massa ed è comprensibile che segua i dettami del suo pubblico(anche se preferisco comunque serie che si fanno influenzare il meno possibile da esso). I libri invece sono e rimarranno sempre intrattenimento di nicchia. Ora si potrebbe dire : non è vero!la famosissima saga di Harry Potter (es.) chi è che non l’ha letta? Pochi, se confrontati con le persone che hanno visto i film. I libri sono e devono rimanere espressioni più personali e genuine. Voglio dire ‘game of thrones’ sarebbe stato lo stesso senza SPOILERSPOILERSPOILERSPOILERSPOILERSPOILERSPOILERSPOILERSPOILERSPOILERSPOILERSPOILERSPOILERSPOILERSPOILERSPOILERSPOILERSPOILER la morte di Eddard Stark? Ovviamente no! Ma , immagino, in un libro scritto a puntate l’audiance avrebbe difeso a tutti i costi E.S,non sapendo che la sua fine contribuisce enormemente a caratterizzare il libro. Infatti se pensiamo alla saga di George martin subito ci viene in mente il duro realismo che la permea, in cui anche i buoni muoiono in maniera ignominiosa.
Inoltre , sempre IMHO, neanche gente che recensisce negativamente tutto poiché l’autore non si è attenuto ai suoi arbitrariatissimi Dogmi ( e che ovviamente per questo è considerato una semi-divinità, aka gamberetta) potrà contribuire alla formazione di una bella storia.
Penso che tu stia manifestando, in buona fede 🙂 ,una deformazione del recensitore consumato, ehehe. Leggi un libro ( di uno scrittore esordiente o un fantatrash) vedi qualcosa che non va e pensi: Peccato! se avesse fatto X invece di Y sarebbe stato un libro buono! CI voleva poco!
Purtroppo credo che un autore debba scrivere quello che si sente di scrivere. Poi se il dato manoscritto ,preso in toto, non risulterà accettabile allora vuol dire che ci troveremo davanti ad un brutto libro. 🙂
Mi scuso se questo commento possa aver offeso qualcuno in qualunque modo. Non era il suo scopo.
Scopro solo adesso questo posto. Volevo solo ringraziarti, con un anno di ritardo, per le belle parole sul mio “Deserto rosso”. 😉