Che questo articolo provenga da me, che ho appena scritto un romanzo di spionaggio con orchi, elfi e spade magiche e sto attualmente lavorando al sequel, ambientato ad Atlantide, potrebbe suonare strano. Ma la realtà è che il fantasy mi piace come il caffè: nero e senza magia.
C’è chi dice che il fantasy, per essere considerato tale, deve presentare due elementi: l’ambientazione in un mondo secondario e la presenza di un elemento soprannaturale. Questo era vero nel 1954 quando Tolkien pubblicava Il signore degli anelli, ma solo perché lo faceva Tolkien e Tolkien è considerato da praticamente tutti quanti il capostipite della letteratura fantastica moderna. Negli stessi anni però Mervyn Peake pubblicava la trilogia di Gormenghast, dove la magia ha molta meno prominenza di quanta non ne abbia in Tolkien. In seguito, essendosi il fantasy sviluppato anche grazie all’avvento di giochi di ruolo quali Dungeons & Dragons, la magia è diventata parte integrante e inscindibile del genere. Tanto che se chiedete anche oggi a chi ama discutere di generi letterari che cosa deve avere un fantasy per essere definito tale, vi sentirete quasi sempre rispondere “la magia”. Non “un qualche elemento impossibile nel nostro mondo” ma proprio “la magia”, quando va bene “il soprannaturale”.
Personalmente, trovo si tratti di una definizione che rivela una mentalità chiusa, ed è ormai inadatta a un genere che si è enormemente espanso nel corso degli ultimi settant’anni – da quando, cioè, una definizione tale poteva anche avere senso. È un po’ come dire che non è un romanzo giallo se non c’è un delitto, il che è una sciocchezza: Poirot risolveva anche casi di furto, frode e rapimento. Certo, i delitti erano quelli che lo hanno reso popolare (e che facevano vendere ad Agatha Christie le storie), ma non c’erano solo quelli.
Molti dei miei romanzi fantasy preferiti vedono al loro interno qualche forma di magia, più o meno evidente. Molti altri, però, di magia non ne hanno un briciolo. I romanzi migliori di Guy Gavriel Kay (The Lions of Al-Rassan in testa) sono eccellenti fantasy storici in cui la magia non esiste. The Heroes di Joe Abercrombie è ambientato in un mondo in cui la magia esiste, ma nel romanzo non compare. Sempre di Abercrombie, ho appena letto Il mezzo re (che pure non annovererei tra i miei romanzi preferiti) in cui di magia non ce n’è. Sharps e molti altri romanzi (e racconti lunghi) di K.J. Parker sono eccellenti e non hanno traccia di magia. E, se vogliamo essere fiscali, un drago non è poi così diverso da una mucca se viene descritto solo come un animale, come fa Marie Brennan nella serie di Lady Trent o Naomi Novik in quella di Temeraire.
Sia chiaro, non vi sto dicendo come vivere la vostra vita, o meno ancora come scrivere i vostri romanzi. È solo che il fantasy senza magia presenta alcuni innegabili vantaggi.
Ad esempio, quante volte una storia fantasy ha visto protagonista un giovane di umile estrazione sociale che, guidato da un anziano e magari improbabile mentore, si ritrova strappato dal suo microcosmo d’origine e costretto a portare sulle sue spalle il destino del mondo intero? Si tratta del canovaccio fondamentale del fantasy post-tolkeniano, quel genere di storia in cui la magia avrà un peso fondamentale perché “è così che abbiamo sempre fatto”. Ora, immaginiamo di togliere dal quel contesto l’elemento magico.
Senza magia, parecchie cose cambiano, e improvvisamente è più difficile ricadere nei cliché del fantasy post-tolkeniano. Tanto per dirne una, chi è il mentore dell’eroe, se non può essere l’ultimo membro rimasto di un potente ordine di maghi? Quale arma segreta impiegherà l’eroe per sconfiggere l’antagonista, ora che abbiamo tolto dall’equazione la possibilità di armarlo con la Leggendaria Spada Parlante del Re degli Elfi?
Certo, la trama di base non deve discostarsi molto da quella schematizzata da Vogler in Il viaggio dell’eroe, ma eliminando l’elemento magico si è costretti a trovare nuove soluzioni anche per una trama di impianto classico. Questo consentirebbe, tra l’altro, di inserire un elemento di novità all’interno di un contesto famigliare, cosa che da eventuali lettori viene in genere ben accolta.
Lo stesso vale per il deus ex machina. Quante volte l’eroe e i suoi amici si sono salvati la pelle grazie a un potente incantesimo lanciato proprio al momento giusto? Eliminare la magia significa anche eliminare la tentazione di impiegare soluzioni facili per situazioni complesse. Senza questa rete di salvezza magica, chi scrive è costretto a trovare nuove soluzioni per situazioni che possono metterlo con le spalle al muro. Tipo, immaginatevi Paolini costretto a riscrivere il Ciclo dell’Eredità senza usare deus ex machina. Dei ex machina. Ex machine. O quel che è.
E, dal momento che abbiamo levato di mezzo quell’irritante sassolino nella scarpa che è la magia, ci siamo anche liberati del suo altrettanto irritante compagno di viaggio. Il temibile infodump. Ovvero, per chi non fosse famigliare con il termine, quella parte di testo, di solito lungo e capace come poco altro di spezzare il ritmo della narrazione, dedicata alla spiegazione di come funziona questo o quell’altro elemento del mondo in cui avviene la storia – e, nel caso particolare del fantasy, delle regole della magia.
Ma liberi del peso del soprannaturale, non c’è più bisogno di mettersi a leggere (o scrivere!) la stantia, ridondante e noiosa scena del giovane studente a cui vengono impartite lezioni sul funzionamento della magia, che diventano via via più cavillose mano a mano che l’autore della storia in questione si avvicina all’essere Brandon Sanderson.
Ma non è solo per questioni stilistiche che ho arbitrariamente deciso che il fantasy senza magia funziona come e a volte meglio del fantasy con la magia. Addentriamoci infatti nella sociologia dei mondi fantasy.
Dal momento che, come ho detto all’inizio e ribadisco anche qui, un grande ruolo nella popolarizzazione del genere fantasy, e anche nella formazione di molti di quelli che attualmente lo scrivono, ce l’ha avuta Dungeons & Dragons, è inevitabile che alcune caratteristiche di questo gioco, che poi è andato a sua volta a influenzare molti altri giochi di ruolo (la serie Elder Scrolls è stata influenzata da Wizardry, a sua volta influenzato da D&D; Dragon Age è il successore spirituale di Baldur’s Gate, che è un gioco licenziato da D&D, e così via), si ritrovino altrove. Ora, io non ho mai giocato a D&D (per l’ovvio motivo che è necessario avere amici e/o qualcuno con cui interagire faccia a faccia, entrambe cose contrarie al mio credo), ma ho avuto per anni il mio prete e il mio warlock su World of Warcraft.
Tutto questo per dire che, giocando a rpg e leggendo fiction a essi inspirata, ho notato la tendenza a utilizzare in storie fantasy la divisione in classi propria dei giochi di ruolo. In particolare, quella tra maghi da una parte e chierici dall’altra. Che personalmente, da tizio che ha studiato sociologia, mi è sempre suonata un po’ strana. Una società all’interno della quale specifici individui sono in grado di sviluppare poteri magici sovrannaturali non sarebbe portata a venerare questi stessi maghi? In un mondo in cui la magia è reale, una distinzione tra maghi e religiosi secondo me non ha senso, anche perché la religione non è altro che venerazione di ciò che è soprannaturale.
È una sorta di paradosso del world building, che molti autori hanno, a onor del vero, risolto in modi creativi. Ma, eliminando la magia, il problema sarebbe risolto alla radice, con la religione che tornerebbe a essere, come nel nostro mondo, la fede in una semplice superstizione.
E, d’altro canto, eliminare la distinzione tra magia e religione togliendo di mezzo la magia, non significa eliminare tutti quegli elementi che fanno contorno a entrambe e che sono molto popolari nella letteratura di genere, come profeti e profezie.
Se ci pensate per bene, noi viviamo in un mondo in cui la magia e il soprannaturale non esistono. Eppure di profeti ne abbiamo avuti e continuiamo ad averne a bizzeffe, di profezie, così come di ciarlatani, sono piene le pagine dei libri di storia, così come quelle del settimanale Di Più.
Non importa, al profeta, che la magia esista veramente o meno, perché non è lui ad avverare la profezia, ma quelli che ci credono.
E, già che ci siamo, non dimentichiamoci della terza legge di Clarke: “Ogni tecnologia sufficientemente avanzata è indistinguibile dalla magia”.
Il fuoco greco impiegato durante le battaglie navali dai bizantini deve essere sembrato magico agli arabi, almeno al primo impatto, così come deve essere sembrata magia quella degli specchi ustori usati da Archimede contro i romani durante l’assedio di Siracusa. Questo per dire, con un po’ di creatività, contestualizzazione, e un minimo di studio della storia, non c’è bisogno di inserire la magia.
Il discorso sulla tecnologia, poi, introduce un altro aspetto del fantasy senza magia. Finora ho fatto riferimento a fantasy storici, pensando soprattutto a Guy Gavriel Kay e K.J. Parker (che hanno in comune di essere due dei miei scrittori preferiti), ma il discorso si estende anche ai sottogeneri del fantasy, come ad esempio lo steampunk e molti altri –punk che da esso derivano. Anzi, forse lo steampunk è proprio un esempio emblematico, in quanto il genere nasce proprio come speculative fiction con un maggiore focus sulla tecnologia rispetto agli elementi magici e sovrannaturali.
E infine, giusto per tornare a menzionare Temeraire o Lady Trent, un centauro o un lupo mannaro sono creature magiche, ma un drago non è necessariamente diverso da una mucca. Sono animali, certo, selvatici e pericolosi, ma lo sapete quale altro animale è pericoloso? Il koala. Quel viscido, abominevole mostro.
E su questo volto omicida concludiamo la mia arringa sul perché il fantasy senza magia non solo è bello ma, sotto sotto, è anche meglio. Certo, sono disposto ad ammettere che proiettili infuocati, tempeste di ghiaccio e spirali dell’amore di Venere hanno il loro fascino, ma sapete cos’altro è affascinante? Un koala. Un accurato worldbuilding che si diversifica dal mare di già visto e derivazione che compone la gran parte del genere.
Bravo, ottima arringa, mi hai convinto!
Anche io prediligo i romanzi fantasy in cui la magia è assente o ha un ruolo marginale: trovo che il world building e la trama in generale ne guadagnino molto rendendo il romanzo molto più “vero” e credibile. Abercrombie ne è un buon esempio e, al contrario dei volumi della serie “The first law”, nei tre romanzi satellite la magia è quasi assente e non se ne sente la mancanza.
Di Kay ho letto solo “Il paese delle due lune” (Tigana) e devo dire che mi è piaciuto molto, dovrò leggere altri suoi romanzi, sei la seconda persona che consiglia questo autore, lo metterò in cima alla pila dei libri da leggere.
Tornando al discorso magia però, un uso sapiente e ragionato della stessa e del suo funzionamento può regalare storie veramente interessanti ed originali come quelle di Sanderson. Il suo sitema di magia basato sul soffio e sui colori nel romanzo “Il conciliatore” ne è una prova. Certo, bisogna scendere a compromessi con l’infodump, ma il romanzo è veramente gradevole.
Se il mondo è credibile e il “sistema magico” è ben delineato ed integrato (e limitato) il romanzo può trarne un gran giovamento secondo me, accrescendo quell’elemento “fantastico” che caratterizza il romanzo fantasy e che per forza di cose non si può trovare nel mondo reale.
Alla fine, se un autore è bravo e capace, riesce a scrivere belle storie a prescindere dalla presenza o meno della magia; bisogna solamente scendere a patti con le inevitabili limitazioni del caso.
Comunque bell’articolo e bello spunto di riflessione, ti seguo sempre con piacere.
P.S. Se io volessi comprare il tuo libro in formato epub?
Ho uno strano rapporto con Sanderson, nel senso che lo trovo estremamente creativo e capace di generare genuino senso di meraviglia quando si occupa di worldbuilding, ma il modo fiscale in cui tratta la magia (ad esempio in La via dei re), unito ai personaggi un po’ piatti, riesce di solito ad ammazzarmi l’entusiasmo nei suoi confronti. Ho in programma di leggermi tutto il Cosmere per bene in un futuro prossimo, per vedere se cambio idea in proposito.
(Piesse, per i libri in formato epub e per una riedizione riveduta e corretta di vecchi racconti mi sto attrezzando in questi giorni.)
Bell’articolo, sono d’accordo con la tua riflessione. Nello stesso Martin, alla fine, la magia ha comunque un ruolo limitato, e non devo certo dirlo io che è una delle opere fantasy più importanti degli ultimi anni. Riflettendo, grazie al tuo articolo, i romanzi che mi son piaciuti di più sono, alla fine, proprio quelli in cui la parte del leone la fa il world building e non la magia.
Interessante notare (mi era sfuggito) che Kay sia uno dei tuoi autori preferiti: ho letto di recente La Rinascita di Shen Tai e non l’ho particolarmente apprezzato. Mi è parso lento e macchinoso, con troppe descrizioni e molte parti raccontate.
Hai provato a leggerlo in italiano (il che spesso genera problemi) o hai letto tutto in lingua?
Per me è proprio la macchinosità e il raccontare a posteriori di determinati eventi il punto di forza di Kay. Proprio perché è qualcosa che bisognerebbe evitare come la peste quando si scrive e invece a lui esce benissimo. Letto in lingua originale, penso che la sua prosa non abbia eguali, è di un lirismo impressionante. Il prologo di Tigana è semplice, corto, privo di chissà quale evento, eppure trasmette alla perfezione il senso di tragedia e ineluttabilità.
Ciò detto dei due libri sulla Cina alternativa ho letto Under Heaven e non mi ha fatto impazzire, pur essendomi piaciuto, ma più che altro perché non trovo granché interessante la storia e la cultura asiatica.
In inglese rende senz’altro meglio, anche perché i romanzi ambientati in “Europa” (ossia The Lions of Al-Rassan, Sailing to Sarantium, Lord of Emperors, The Last Light of the Sun e Children of Earth and Sky, che fanno parte dello stesso universo – più A Song for Arbonne, che invece è on un universo a parte) non mi risulta siano mai stati tradotti.
Ciao! Discorso interessante. A me non dispiace il fantasy con la magia, più che altro ha stufato il mago come personaggio, ormai inflazionato e quindi poco interessante, chiuso in una serie di cliché. Preferisco quando la magia è completamente al di là del controllo dei protagonisti, inspiegabile, non riducibile a una serie di pratiche che danno un risultato sicuro. Perché in quel caso diventa noiosa. Mi vengono in mente diversi libri – come American Gods, o vari racconti di Lovecraft, o boh, pure qualcosa di Stephen King, sove la magia esiste, o quantomento esistono personaggi con poteri sovrannaturali, ma allo stesso tempo rimane assolutamente incontrollabile, al di fuori della comprensione umana e di un sistema di regole stabilite. Pure lo zio Martin, nelle Cronache, è bravo a tenersi fuori da una regolamentazione precisa della magia, e i veggenti/sacerdoti ecc anche quando hanno accesso a una conoscenza sovrannaturale formulano profezie che nessuno capisce, sbagliano, ecc. D’altra parte, se si riduce la magia a una serie di formule che se pronunciate danno un risultato prevedibile, a una serie di attacchi e parate come in un videogioco, si spenge il “sense of wonder” che potrebbe derivarne no?
Per dovere di oggettività devo ribattere che più una magia è imprevedibile, e quindi genera sense of wonder come giustamente dici, più il suo utilizzo rischia di trasformarsi in un deus ex machina. Senz’altro è un’aspetto della storia difficile da bilanciare.
Poi anche a me la magia, se proprio dev’esserci, piace devastante, difficile da controllare, e che richiede un costo oneroso per chi la impiega.
Ciao! Leggo spesso il tuo blog e devo dire che ho tratto davvero molti spunti per romanzi interessanti che non conoscevo (tipo kj parker). Condivido e sottoscrivo il tuo pensiero del fantasy senza magia.. tanto è vero che trovo heroes di Abercrombie uno dei romanzi migliori della categoria degli ultimi anni. A tal proposIto ti consiglio the city di stella gemmell, tradotto per motivi inspiegabili in italiano con la città perduta d avorio e di argento… lei è la moglie del grande david e devo dire che, nonostante non abbia la capacità del marito di caratterizzare ambienti e personaggi con due penellate ha tirato fuori un libro avvincente… brutto sporco e cattivo.. dove la magia ha solo un eco lontano e si percepisce appena. Credo però che il word building abbia un peso ancora maggiore. Penso ad esempio ad Steven erikson e al mondo malazan. La magia è componente chiave ma non pesa mai sul racconto e il rischio di Deus ex Machina e infodump non è lontanamente presente.
Questo perché Erikson è un pazzo e un visionario e assolutamente geniale (anche se, avendo letto Gardens of the Moon e Deadhouse Gate in lingua originale, devo ammettere che un filino di infodump in più non mi sarebbe dispiaciuto).
“lezioni sul funzionamento della magia, che diventano via via più cavillose mano a mano che l’autore della storia in questione si avvicina all’essere Brandon Sanderson.”
Ewan, se non sbaglio non è la prima volta che lo dici.
Confesso che mi ha incuriosito… dov’è che hai trovato tutta questa burocrazia? 😀
Beh tra tutti gli autori che ho letto è il più fissato con le regole della magia.
Uhmmm…non sono d’accordo.
Non si tratta di una fissazione o di una mania di Branderson ma di una necessità data dal fatto che i suoi cast di personaggi sono composti dal 90% da maghi (in effetti l’unico che si distingue in questo senso è Elantris). DEVE spiegare come funziona la magia perché è il mezzo d’eccellenza con il quale i personaggi risolveranno tutte le situazioni di conflitto.
E ho detto apposta spiegare. Perché quelle che tu chiami regole e cavilli sono in realtà conseguenze e ramificazioni di un paio di “norme” piuttosto semplici.
Giusto per chiarire, prendiamo come esempio “La Via dei Re” (seguono SPOILER, quindi chi non lo ha letto stia in guardia)
Quali sono le regole del sistema magico?
1.Su Roshar esistono degli “spiritelli” chiamati Spren. Quando uno Spren forma un legame con un essere umano ottiene coscienza ed intelligenza ed in cambio concede due dei dieci poteri fondamentali.
2. I poteri funzionano solo quando l’umano inspira la giusta quantità di Stormlight
3. La stormlight viene portata su Roshar dalle altempeste e conservata all’interno di pietre preziose
4. E’ possibile rafforzare il legame con lo spren pronunciando dei giuramenti specifici.
Senza uno spren vincolato o la Stormlight o i giuramenti non esiste il sistema magico della Via dei Re.
Il resto (incluse le famose shardblade e shardplate) sono tutte conseguenze e ramificazioni di questi 4 princìpi. E quattro regolette per un romanzo di 1000+ pagine è alquanto onesto.
FINE SPOILER (e fine commento) 😛
Per prima cosa devo ringraziarti per avermi rinfrescato la memoria su La via dei re, visto che devo cominciare Words of Radiance e mi occorre un ripasso di quello che era successo prima.
Torniamo all’argomento magia. Io capisco che Sanderson sia ben organizzato e le regole che impone alla sua magia siano quasi scientifiche, ma il semplice fatto che tu abbia dovuto scrivere un elenco puntato su come funziona di base la magia in Stormlight Archive (e non sia arrivato a toccare tutto quanto) a mio avviso è dimostrazione sufficiente che si tratta di concetti cavillosi. Il che non significa che non abbiano senso di esistere perché su Roshar la magia degli spren sostituisce in parte la scienza e fa da contesto alla storia.
Lasciamo perdere per un attimo la magia e facciamo l’esempio di cicciopanzo Martin. ASOIAF è pieno all’inverosimile di minuzie su alberi genealogici, discendenze e regole di successione dinastica. E tu dirai, beh, ovvio, una parte fondamentale della storia è una discussione sulla legittimità (o meglio, l’illegittimità) del potere feudale dinastico, è ovvio che si insista su parentele e antenati. Il che non vuol dire che queste non suonino burocratiche e cavillose.
Il punto fondamentale è che, nella dicotomia che pone da una parte magia chiara e consistente a discapito del sense of wonder e dall’altra magia nebulosa a rischio di deus ex machina, Brandon Sanderson si colloca decisamente a un’estremità dello spettro, perché è il suo modo di concepire il fantasy e non costituisce assolutamente un aspetto negativo, qualora l’intricato sistema magico non sia d’intralcio alla storia – ad esempio, in La via dei re mi aveva tediato, ma la magia in White Sands fila senza problemi.
In ogni caso, avevo una mezza idea di fare una sorta di maratona Cosmere (mi sono… ehm… “procurato” tutti i romanzi, le novelle, i fumetti e i racconti usciti finora) e questa discussione sulla magia ha portato l’idea in corsia preferenziale.
Ci tenevo a dire che i koala sono così stupidi che se prendi dell’eucalipto e glielo metti su un tavolo, loro non riescono più a capire che è cibo perché è in orizzontale.
È esattamente il tipo di inganno che mi aspetto dal mefistofelico koala per indurci a credere che sia innocuo.
“Per prima cosa devo ringraziarti per avermi rinfrescato la memoria su La via dei re, visto che devo cominciare Words of Radiance e mi occorre un ripasso di quello che era successo prima.”
Non c’è di che.
Ti segnalo allora la wiki italiana dedicata alle cronache:
http://it.le-cronache-della-folgoluce.wikia.com/wiki/La_Via_dei_Re:_Preludio
Dove hanno fatto il riassunto di ogni capitolo del libro. Attento agli spoiler se navighi nella pagine collaterali!
“ma il semplice fatto che tu abbia dovuto scrivere un elenco puntato su come funziona di base la magia in Stormlight Archive (e non sia arrivato a toccare tutto quanto) a mio avviso è dimostrazione sufficiente che si tratta di concetti cavillosi.”
Suvvia!
La lista è per amor di sintesi. Delle 4 regole praticamente solo una viene detta esplicitamente all’interno del libro. Tutte le altre sono in qualche modo mostrate.
Quel che ho tralasciato o rispetta quanto già detto (ma è sotto spoiler pesantissimi) o appartiene ad uno degli altri sistemi magici (fabrial, vecchia magia e voidbinding)
“Il punto fondamentale è che, nella dicotomia che pone da una parte magia chiara e consistente a discapito del sense of wonder e dall’altra magia nebulosa a rischio di deus ex machina, Brandon Sanderson si colloca decisamente a un’estremità dello spettro, perché è il suo modo di concepire il fantasy e non costituisce assolutamente un aspetto negativo, ”
E su questo siamo d’accordo.
Quel che io dico è che i sistemi magici non sono cavillosi bensì complessi. Dove per complessità intendo una miriade di ramificazioni e background che vengono pazientemente e lentamente svelati dall’autore.
Sai chi faccio rientrare nelle definizione di “cavilloso”? Patrick Rothfuss. I suoi sistemi magici mi annoiano in una maniera incredibile.
“Lasciamo perdere per un attimo la magia e facciamo l’esempio di cicciopanzo Martin. ASOIAF è pieno all’inverosimile di minuzie su alberi genealogici, discendenze e regole di successione dinastica. E tu dirai, beh, ovvio, una parte fondamentale della storia è una discussione sulla legittimità (o meglio, l’illegittimità) del potere feudale dinastico, è ovvio che si insista su parentele e antenati. Il che non vuol dire che queste non suonino burocratiche e cavillose.”
“qualora l’intricato sistema magico non sia d’intralcio alla storia – ad esempio, in La via dei re mi aveva tediato, ma la magia in White Sands fila senza problemi.”
Possibile che il problema non siano le spiegazioni ma il modo in cui vengono esposte?
Perfeziono.
Può darsi che in White Sands, Branderson per questioni di spazio abbai dovuto mettere la museruola ed essere più chiaro/meno invadente nelle spiegazioni magiche.
Allo stesso modo con Lardomartin non ho avuto problemi con le questioni dinastiche nei primi tre libri…forse perché ben esposte. Nel libro IV e V invece ricordo una certa “avversione” (specie per le isole di Ferro e le casate di Dorne).
“In ogni caso, avevo una mezza idea di fare una sorta di maratona Cosmere (mi sono… ehm… “procurato” tutti i romanzi, le novelle, i fumetti e i racconti usciti finora) e questa discussione sulla magia ha portato l’idea in corsia preferenziale.”
E’ cosa buona e giusta.
Mhhh… no e se mi citi la terza legge di Clarke sai pure che è “magia” solo finché il lettore rimane ignorante al riguardo. Poi a me le trovate di Anne Rice son piaciute, anche se sospetto che abbia letto qualcosina targato “Vampire, the masquerade” &C.
Però paragonare un drago a una mucca… mi rattrista. Ho ancora in testa i personaggi della serie “spellsinger” creata da Roger Zelazny e proprio non ce lo vedo il drago a pascolare.
Concordo sulla necessità di un solido world-building. Che ci sia o meno la magia, il mondo deve essere coerente. I nomi, i luoghi, cosa fanno gli abitanti, di cosa (o chi) si nutrono, se pregano (e bestemmiano)… ecc… tutti i conti devono tornare (e in questo Tolkien è stato un maestro) altrimenti l’incredulità torna e il libro finisce nella spazzatura.