Nel corso delle passate settimane sono stati assegnati i premi Nobel e, come ogni anno, la scelta dei vincitori da parte della Fondazione Nobel è stata accolta con il consueto strascico di polemiche. Lo scandalo di quest’anno, sulla bocca e nei pensieri di tutti, è ovviamente la mancata assegnazione del premio Nobel per l’economia a Paul Milgrom per i suoi contributi alla teoria del contratto. Ma io dico. Uno scandalo.

L’onta è talmente viva e vibrante che parlarne da persona razionale mi risulta impossibile. Per cui facciamo che scrivo un pezzo veloce su Bob Dylan e il Nobel per la letteratura, invece.

Come vi sarà facile notare, non sono la persona più adatta a parlare di premi Nobel e alta letteratura. È da Cecità di Saramago che non leggo qualcosa scritto da un premio Nobel e a essere completamente sincero non è che mi vadano in fibrillazione le tettine all’idea di leggere У войны не женское лицо, che come tutti sappiamo è l’opera d’esordio della giornalista e saggista bielorussa Svetlana Alexeievich. Ma, in ogni caso ho lo stesso alcune considerazioni al riguardo da infliggervi.

Primo e fondamentale: grazie a Cthulhu anche quest’anno ci siamo scampati il Nobel a Murakami. Ogni anno in cui il Nobel non viene assegnato al gattaro più sopravvalutato nella storia della letteratura è un anno ben vissuto.

Secondo e in parte corollario del precedente: però potevano aprirsi il culo e dare il Nobel a Cormac McCarthy.

Terzo e caposaldo del presente articolo: il Nobel a Bob Dylan non è quella decisione scioccante che la massa di intellettuali e accademici su Facebook (essi condividono, ergo sono indignati) ha dipinto nei momenti immediatamente successivi all’annuncio. Certo, è deliziosamente ironico che l’italiano medio palesi un’ignoranza abissale quando si parla di un premio che in genere è sinonimo di cultura, ma del resto c’è davvero da stupirsi dell’ignoranza della gente che ci tiene a farci sapere come la pensa a proposito di qualsiasi cosa via social network? Esistono i blog per questo, razza di buzzurri!

C’è chi dice che la vittoria di Dylan non ha molto senso perché in buona sostanza una canzone non è letteratura. Che è un’affermazione che in parte condivido, se non fosse che nemmeno il saggio giornalistico, la sceneggiatura teatrale, il memoriale, la critica letteraria e i contributi alla filologia sono letteratura nel senso proprio del termine, eppure autori che hanno contribuito a questi generi sono stati premiati più volte nel corso della storia del Nobel. Letteralmente il secondo premio Nobel per la letteratura è andato a Theodor Mommsen specificando nella motivazione che gli veniva assegnato per Storia di Roma, che è un trattato storiografico.

Il trattato storiografico è letteratura? Solo perché assume la forma di un libro, con due copertine e delle pagine centrali, ha senso inserirlo nella stessa categoria di Il signore delle mosche di William Golding? E, sulla falsariga della domanda precedente, che differenza passa tra una poesia e il testo di una canzone?

Inoltre, mi preme ricordarlo, la canzone predata non solo i libri, ma anche il concetto stesso di letteratura.

Sono convinto da sempre che All Along the Watchtowers sia una delle più interessanti e criptiche canzoni mai composte – e mi riferisco solo al testo perché, non giudicatemi, ho anche sempre preferito la cover di Jimi Hendrix all’originale di Bob Dylan – e penso che l’opera “menestrellistica” di Dylan non abbia nulla da invidiare al corpo delle poesie della poetessa austro-libanese che vincerà senza dubbio l’anno prossimo, per la gioia dell’establishment intellettuale e degli accademici su Facebook.

Ciò detto, sono d’accordo che la premiazione di Bob Dylan sia un evento singolare nella serie di vincitori del Nobel per la letteratura. A tal proposito due, ultime, riflessioni.

C’è chi dice che bisogna creare un premio Nobel apposta per la musica. Che non è un’idea malvagia in sé, ma chi propone una cosa del genere non sa come funziona la Fondazione Nobel. Gli attuali premi Nobel, meno quello per l’economia, sono stati previsti nel testamento di Alfred Nobel nel 1895 e sono sponsorizzati con i soldi della Fondazione Nobel, mentre quello per l’economia è stato istituito nel 1968 con il contributo finanziario della Banca Nazionale Svedese, ed è considerato solo informalmente un premio Nobel, perché tecnicamente non lo è. Altri premi Nobel non possono venire istituiti per decisione della stessa Fondazione.

E poi abbiamo quelli che: ora che abbiamo sdoganato la canzone, possiamo dare il premio Nobel anche ad altre forme minori di “”””””””””letteratura””””””””””. E c’è chi propone di premiare Alan Moore. Oh, sweet summer child. Non lo sapete che la vera Arte, quella aulica e meritevole d’encomio, è il romanzo epistolare in aramaico sul tema della sofferenza e dell’abbandono scritto dallo scrittore quadriplegico siriano morto suicida a ventidue anni? Non è tanto che Alan Moore scrive fumetti e tutti i fumetti sono letteralmente Topolino (pronunciato Popolino), quanto più che Alan Moore scrive fumetti di genere. Ew, horror e fantascienza, assolutamente disgustoso.

Il Nobel a Bob Dylan non è un’idea malvagia da parte della Fondazione Nobel (di sicuro è più meritato di quello a Obama), ma si tratta di una mosca bianca che dovremo aspettare anni per vedere replicata. Non per altro, perché di gente come Bob Dylan non se ne vede molta in giro.

E se siete arrivati fino a questo punto, congratulazioni per il vostro livello di sopportazione. Mi premeva però rivelare che questo post e quello di giovedì, salvo sviluppi eccezionali, sono più o meno dei riempitivi. Oddio, spero siano un minimo interessanti, ma devo ammettere che un’opinione-su-eventi-correnti e un autore-parla-dei-suoi-progetti-incombenti non mi richiedono lo stesso impegno cerebrale di una recensione o di un approfondimento tematico. Sorri. È che di solito scrivo i post della settimana nel week-end e li programmo e questo week-end sono piuttosto oberato. Inoltre, per colpa dell’enormità di Memories of Ice, non ho letto nulla di nuovo e recensibile questa settimana e recuperare una vecchia lettura o impelagarmi nell’analisi di Deadhouse Gates mi avrebbe richiesto troppo tempo. Ma, ehi, si tratta sempre di tre minuti di intrattenimento gratuito, fate finta che sia l’amaro della casa offerto dopo il pranzo al ristorante e accordatemi questo momento di fiacca.