La doverosa premessa a questo post è che io odio con fervente passione gran parte di ciò che proviene da quell’imbastardimento che qua da noi si fa passare per cultura giapponese. Detesto i jappominkia che usano non ironicamente la parola “kawaii”, detesto i jappominkia che alle fiere fanno la coda per andare a mangiare del ramen di merda perché è jappo e quindi figo, detesto ovviamente gli anime, e perfino il sushi dopo un po’ mi dà noia. Esatto, sono un insopportabile rompipalle.
Quello che detesto di più, però, sono i manga. Nel senso che non ne capisco la popolarità e che cosa spinga la gente a preferirli ai fumetti normali. I disegni sono spesso bruttini, le storie, che pure talvolta possono partire da spunti interessanti, si perdono in lungaggini e infantilismi, inoltre il character design mi dà quasi sempre la sensazione di stare leggendo storie pensate per, o che strizzano l’occhio a, segaioli repressi.
Ora che mi sono alienato un numero sufficiente di nuovi lettori, è giunta l’ora di specificare che, naturalmente, ci sono delle eccezioni. Cesare di Fuyumi Soryo, di cui ho recensito i primi tre volumi qualche anno fa, è letteralmente un capolavoro, mentre Terra Formars, prima che si perdesse in lungaggini e ripetitività, era una bella avventura caciarona e divertente (con alieni che sembravano ragionieri novaresi, ma vabbè).
Gyo, fumetto horror/biopunk di Junji Ito, è un’altra eccezione alla regola che i manga fanno tutti schifo. Gyo è stato serializzato su Big Comic Spirits dal 2001 al 2002 e raccolto nel 2002 in due volumi. Io ho in mio possesso un’edizione inglese della Viz Media perché credo non sia disponibile una versione in italiano, ma potrei sbagliarmi. In ogni caso si tratta di una storia abbastanza facile da seguire anche per chi non è praticissimo con la lingua (e i media visuali come i fumetti sono in genere più accessibili dei romanzi). Esiste anche un anime basato su Gyo, ma come tutti gli anime è brutto, inutile, e opera inutili cambiamenti alla storia, quindi lasciatelo allegramente perdere.
In ogni caso, forse conoscete Gyo perché è il manga dal quale è tratto questo meme del pleistocene che magari avete visto nei recessi dell’internèt.
Gyo comincia a Okinawa, dove Tadashi e la sua morosa Kaori stanno trascorrendo una vacanza a fare immersioni subacquee. A un certo punto, il dramma: Kaori comincia a lagnarsi (il tratto di personalità più costante di Kaori è che è una lagna umana persistente e inarrestabile – ma ne parleremo meglio più avanti) della fiatella del povero Tadashi, anche se questo è impossibile, perché Tadashi asserisce di lavarsi i denti ben due volte al giorno (fun fact: l’alito cattivo spesso è anche causato dall’assenza di una frequente idratazione, in altre parole bere acqua sovente durante il giorno aiuta a lavare particelle residuali di cibo e batteri).
In realtà Kaori non sa che non è Tadashi a tanfare. L’odore, quello che viene chiamato proprio tanfo di morte, proviene infatti dal mare, dal quale iniziano a emergere degli strani pesci dotati di zampette metalliche che consentono loro di camminare sulla terraferma. E se pensate che un’invasione di pesci-meccanici-zombie non sia granché, come minaccia, beh, preparatevi a ricredervi, perché ben presto l’intera Okinawa diventa il loro terreno di caccia e Tadashi e Kaori devono lottare non solo per salvare la propria vita, ma anche per capire che cosa sta succedendo e, soprattutto, come fermarlo.
Quello che mi è piaciuto di più di Gyo è che si tratta di un fumetto totalmente fuori di testa, nella sua grottesca creatività. Voglio dire, siamo abituati, nell’horror, alle invasioni di zombie, e a animali ferocissimi che attaccano gli umani, ma quando mai si è sentito di un attacco di pesci-meccanici-zombie? A ciò si unisce il fatto che, mentre il character design dei protagonisti è standard per un fumetto giapponese, i disegni delle creature e del loro effetto sull’ambiente non si tirano indietro dal mostrare la bizzarria di ciò che sta avvenendo. Specialmente nel secondo volume ci sono delle splash e doppie splash incredibili, al tempo stesso folli, inquietanti e stomachevoli, il tutto impreziosito dal tratteggio marcato, quasi sfacciato, che di norma a me non garba poi tanto, ma che qui rende perfettamente il senso di oppressione e un’altra cosa che nei fumetti è difficile visualizzare: l’odore, elemento fondamentale e imprescindibile della storia.
Devo ammettere, tuttavia, che Gyo non è privo di punti deboli. A volte la storia appare un po’ troppo ingarbugliata su sé stessa, anche se alla fine tutto ha un senso, sospensione dell’incredulità permettendo.
Il vero problema, però, è che Kaori è una stracciamaroni. È letteralmente il motivo per cui gli uomini decidono di darsi all’omosessualità (esatto, l’omosessualità è una scelta, lo dice il vostro blog letterario di fiducia e quindi deve essere per forza vero). Kaori è una lagna costante e ciò rende Tadashi un maschio beta che viene difficile accettare come un eroe. Del tipo, come può realisticamente affrontare Tadashi un’invasione di pesci-meccanici-zombie quando non ha nemmeno le palle per dire alla sua ragazza di smetterla di rompere i maroni? Ma questo non è nemmeno il problema. Sono dispostissimo ad accettare un eroe che è anche un maschio beta-tendente-a-omega, è un’interessante variazione dello stereotipo dell’eroe senza macchia e senza paura. Quello che proprio non va è che si suppone che Kaori sia la damigella in pericolo della storia, colei che il nostro eroe beta deve spostare mari e monti per salvare. E che invece per tutto il fumetto volevo solo veder morire tra atroci sofferenze. Vi basti sapere che ho passato il manga a una mia amica e le ho ingiunto di leggerlo al solo scopo di avere qualcuno con cui condividere l’astio nei confronti di Kaori. E se questa non è la magia del fumetto, allora proprio non so cosa sia.
In coda a Gyo (per lo meno, in coda all’edizione inglese in mio possesso) si trovano anche due storie brevi. La prima, The Sad Tale of the Principal Post è lunga quattro tavole e mi ha lasciato francamente indifferente – sì, era vagamente inquietante, ma alla fine non mi è sembrato avesse tutto questo senso. Ma, appunto, sono solo quattro tavole per cui si passa agilmente oltre. La seconda, The Enigma of Amigara Fault, è più lunghetta e, a mio avviso, vale da sola il prezzo dell’intero volume (che è di 9.99$, ma devo averlo pagato qualcosa di meno, avendolo acquistato su Amazon – e in Euro). La storia parla di un terremoto che apre una faglia su una montagna, e in questa faglia si scoprono una serie di cavità a forma di uomini. Non voglio dire di più perché è davvero una bella storia, creativa e grottesca, come nello stile di Junji Ito, ma anche, a differenza di Gyo, misteriosa e ricca di suspense, che va gustata senza sapere a cosa si va incontro. Se non vi va di acquistare Gyo per leggerla si trovano anche delle scan su internet, basta una riceerchina su Google.
Gyo a mio avviso è un buon manga, che non basta però, da solo, a risollevare il nome della categoria. Mi è stato consigliato di leggere gli altri lavori di Junji Ito, in particolare Uzumaki, ma credo che aspetterò un po’ a farlo (dato che, come è noto, se leggi troppi manga poi cominci a usare la parola “kawaii” non ironicamente, e iddio me ne scampi). Se e quando succederà, in ogni caso, vi terrò informati.
(Also sia messo agli atti che ho usato in questa recensione il termine “fumetti giapponesi” con il preciso intento di far inalberare i jappiminkia.)
Ma no, si dice “manga”! XD
Su un forum, anni fa, sono stato sgridato per aver usato “cartone animato” al posto di anime. Di mio, uso manga o anime solo quando non ho voglia di scrivere fumetto giapponese o cartone animato giapponese.
Detto ciò, non ho ancora letto nulla di Ito – in italiano, mi risulta che sia uscito solo Tomie, ma non metto la mano sul fuoco.
Chiudendo, a me la roba giappo piace, fin quando raggiunge un livello minimo di decenza e coerenza nella storia (ma potrei dirlo anche dei fumetti e cartoni americani, italiani etc.) ma non posso negarlo: il ritmo produttivo delle riviste settimanali in Giappone – e il sistema dei sondaggi che ti fanno deviare la storia in altre direzioni – ostacola lo sviluppo coerente di una storia, nel fumetto seriale.
Sono d’accordo che i giapponesi non sanno scrivere.
Che caxxo i manga di solito sono la fiera della coincidenza.
Però è anche vero che nel marasma qualcosa si salva e ci sono anche certe perle.
Però già la descrizione dei protagonisti mi blocca.
Cioè è bello odiare dei protagonisti, ma solo se puoi usarlo come scusa per trollare i jappominkia.
Preciso che mentre detesto Kaori (ma è un detestare in maniera gioiosa) non ho granché contro Tadashi, a parte la relativa moscezza all’inizio della storia. Tadashi è, in fin dei conti, un personaggio abbastanza normale (per quanto a tutti faccia piacere immaginarsi maschi alfa, il mondo è pieno di maschi beta e anch’io nel mio piccolo ho il mio buon quantitativo di momenti da maschio beta) il che secondo me addirittura giova alla storia, perché all’interno di una situazione bizzarra e volutamente over the top ritroviamo qualcuno che ritenga una parvenza di normalità.
The Enigma of Amigara Fault! È la storia breve che mi ha fatto conoscere Ito, essendo di dimensioni contenute veniva postata spesso su 4chan ❤
Confermo che i manga di Junji Ito non sono mai giunti in italia, ahinoi. La Hazard Edizioni pubblicò un volumetto di Tomie, ma non vendette una cippalippa e non si arrischiarono a tradurre altro. Io ho sempre speranza, però, visto che gli editori italiani si stanno innamorando di gente come Shintaro Kago e Suehiro Maruo magari recuperano anche Ito, prima o poi…
Confermo anche che Uzumaki merita assai.
Anche io ho questo atteggiamento nei confronti della produzione giapponese che arriva qui in Italia. Gli spiegoni, l’epicità forzata, le trame sceme, i dialoghi stupidi, i personaggi stereotipati e decine di altre cose… insomma, ci siamo capiti! Certo, ci sono delle eccezioni persino nelle nostre importazioni. Tra i manga, a parte gli “storici” Hokuto no Ken e Saint Seya (diciamo solo la scalata alle Dodici Case), salvo i prodotti di Junji Ito e di Naoki Urasawa. Di Ito ho letto soprattutto storie brevi, tra cui quella di cui parlavi tu, The Enigma of Amigara Falls, che ancora considero un esempio di narrazione pressoché perfetta!