Uno dei grandi traumi collettivi della mia generazione, è stata senza dubbio la serie di attentati dell’undici settembre duemilauno a New York e Washington. Si è trattato probabilmente del momento in cui i miei coetanei e io, appena usciti dalla scuola media, abbiamo iniziato a prendere coscienza del mondo esterno e dei precari rapporti politici che lo regolano. Magari è stato anche l’evento da cui è iniziata l’elaborazione della nostra coscienza civica. Mentirei se dicessi che l’evento non mi abbia influenzato minimamente. Chiunque dicesse una cosa del genere mentirebbe. Se dieci anni dopo l’undici settembre mi sono laureato con una tesi sul terrorismo jihadista e l’antiterrorismo, un motivo probabilmente c’è.

Gli anni però passano e, un po’ come è successo alla caduta del muro di Berlino, o alla guerra del Vietnam, o all’omicidio di Kennedy, l’attualità diventa storia. Il ricordo sbiadisce nella memoria collettiva delle generazioni successive e un argomento così delicato come l’undici settembre perde il suo status simbolico di tabù. Diviene storia nel senso proprio del termine: qualcosa che è accaduto nel passato, lontano da noi tanto quanto può esserlo la rivoluzione francese o la battaglia di Hastings. Anche se, a ben guardare, gli effetti dell’undici settembre si protraggono ancora oggi, nel nostro presente. Ma, ehi, lo stesso si può dire della battaglia Hastings – dopotutto, senza Guglielmo il conquistatore, niente Royal Wedding.

Diventare storia significa, anche, entrare nell’immaginario collettivo come qualcosa di “successo tempo fa”, finire nei libri, di scuola e non, e nei film e in tutta una serie di prodotti culturali di intrattenimento.

Molto forte, incredibilmente vicino di Jonathan Safran Foer, L’uomo che cade di Don DeLillo, Sabato di Ian McEwan, Love Is the Higher Law di David Levithan, sono solo una minuscola frazione dei romanzi che affrontano il tema dell’undici settembre e delle sue conseguenze.

Anche la letteratura del fantastico, ovviamente, dice la sua sull’argomento. E lo fa utilizzando i suoi strumenti narrativi. In L’accademia dei sogni di William Gibson l’undici settembre rappresenta il passaggio a una nuova modernità, mentre più psicologico è il taglio che Stephen King dà al suo racconto Le voci delle cose, la storia di un uomo che lavorava al World Trade Center, ma assente dal lavoro il giorno degli attacchi, che comincia a trovare per casa oggetti appartenenti ai suoi colleghi morti.

Non dovrei dirlo, ma lo scopo della letteratura del fantastico è anche quello di analizzare la società contemporanea attraverso l’occhio della metafora e del “se fosse”. Anche, non soltanto, eh. Tuttavia, come fa notare Andrew Fox, l’undici settembre, anche dopo essere passato dalla cronaca alla storia, compare di rado nella letteratura del fantastico e quasi mai in romanzi di cui è diretto protagonista. Se fossi un blogger polemico direi che, siccome la gente considera il fantastico narrativa di seconda o terza categoria, permane il tabù che si affronti un tema così serio attraverso un mezzo considerato d’evasione e non di diffusione culturale.

Ma siccome non sono un blogger polemico (seh, certo), non lo faccio. Invece, sono andato a pescarmi un libro fantasy che parla proprio dell’undici settembre e, in particolare, del suo mandante, Osama bin Laden. (Per la cronaca, non accetterò nessuna teoria del complotto in risposta a questo post. Perché sono stupide. E siete stupidi pure voi, se ve le siete bevute.)

Fate largo a Lavie Tidhar, scrittore israeliano/sudafricano/britannico che io onestamente non avevo mai sentito prima di poco tempo fa, ma che ha all’attivo una serie steampunk/guns and sorcery, The Bookman Histories, pubblicata dalla Angry Robots. Tidhar ha anche vinto il World Fantasy Award con un romanzo intitolato Osama, che affronta il tema dell’undici settembre e delle sue conseguenze nella cornice del fantasy. Del realismo magico, per essere precisi. E lo fa dannatamente bene.

La scheda del libro

Osama di Lavie Tidhar
Pubblicato in UK da PS Publishing, inedito in Italia
Anno 2011
276 pagine
Prezzo di copertina 17.59€
Prezzo ebook 4.49€
Il libro su Amazon, anche in edizione digitale

Che cosa succede

Prima di inquadrare la trama di Osama, facciamo un salto nel 1962, quando Philip K. Dick pubblicò quello che forse il suo romanzo più ambizioso, La svastica sul sole. La storia narrata nel libro è ambientata in un mondo ucronico il cui punto di rottura con il nostro continuum è la vittoria della Germania nazista durante la seconda guerra mondiale. Tra le varie storyline che si intrecciano, c’è quella di Juliana Frink, che è alla ricerca di uno scrittore, Hawthorne Abendsen, autore di un romanzo intitolato La cavalletta non si alzerà più, in cui si narra di un mondo dove Hitler ha perso la guerra.

La situazione di partenza di Osama è molto simile. Joe è un detective privato che vive nel Laos, e un giorno riceve da una donna misteriosa l’incarico di rintracciare l’autore di una serie di romanzi pulp, il cui protagonista è un antieroe vigilante di nome Osama bin Laden, un guerrigliero che, in un mondo parallelo, è responsabile di una serie di efferati attacchi armati alle ambasciate occidentali in Sudan, a New York e a Londra.

Se all’inizio la ricerca di Joe procede sui binari classici del noir, sospinta da domande relative alla sua indagine (chi si cela dietro allo pseudonimo di Mike Longshott, l’autore dei romanzi pulp?; qual è il segreto del loro protagonista, Osama bin Laden?; chi sta cercando di impedirgli di scoprire la verità?), mano a mano che si va avanti con la lettura, ci si rende conto che c’è ben altro. Piccoli indizi, all’inizio. Poi sogni, visioni, personaggi che sembrano saperla più lunga di quanto dovrebbero, coincidenze che non dovrebbero esserci, più universi paralleli e alternativi, oppure uno solo. Il finale, tuttavia, non è affatto da detective story. Non c’è un capitolo conclusivo in cui Joe raggiunge la soluzione del caso, né uno spiegone finale di tutto ciò che è successo. Il tutto è lasciato molto ambiguo, volontariamente.

Perché alla fine della fiera, Osama non è un noir. O forse lo è. O forse è sia un noir che un fantasy. Io ho una mia teoria sul finale e sul suo significato, altre recensioni che ho letto presentano la loro, totalmente diversa dalla mia. Quello che posso consigliare è di leggere il libro e farvi da voi la vostra idea.

Che cosa ne penso

Di Osama posso pensare solo tutto il bene possibile… no, wait, la frase suona stranamente equivoca…

Di questo romanzo di Lavie Tidhar posso pensare solo tutto il bene possibile. Dico spesso che leggo fantasy per intrattenimento, e più di una volta mi sono scagliato contro quei romanzi che cercano di essere più di quanto in realtà non siano, semplicemente inserendo al loro interno una morale forzata e pretenziosa. Ma vale anche il contrario, ogni tanto un po’ di riflessione non guasta, specie se il messaggio del romanzo è inserito in una storia che vale la pena di leggere perché è interessante, non perché “ah, ma c’è il messaggio fondamentale sulla vita l’universo e tutto quanto”.

Osama è quel genere di libro. Parte come un classico noir, con gli archetipi del classico noir e lo stile del classico noir, ma poi se ne va per la sua strada. Riesce a stimolare la curiosità nel lettore – a me è bastato leggere la sinossi per decidermi a comprarlo, anche se l’ebook costava un po’ di più dei 4.49€ di adesso e superava la mia soglia psicologica oltre la quale non acquisto libri digitali.

Poi cambia strada, e si mette a parlare di noi che dell’undici settembre e della guerra al terrore conserviamo ricordi diretti, perché, anche se non eravamo lì, grazie alla globalizzazione dei media, non c’erano barriere spaziali a separarci da Manhattan o dall’Afghanistan.

Come dicevo all’inizio, l’undici settembre è stato un evento che fa parte della memoria collettiva, e in quanto tale ha influenzato la nostra identità e il modo in cui percepiamo noi stessi all’interno della società. Il romanzo di Tdhar affronta questo aspetto da una prospettiva che mi ha ricordato l’approccio delll’interazionismo simbolico di Mead e Blumer, per cui la realtà è costruita attraverso le azioni individuali, a loro volta costruite sulla base dell’interazione tra individuo e sé. Il che, tradotto in parole povere, significa: noi siamo quello che decidiamo di essere. Nel periodo immediatamente successivo all’undici settembre, l’uomo si è all’improvviso trovato a convivere con il terrorismo jihadista, e questo ha influenzato la percezione di sé stesso e della realtà.

Per lo meno, questa è la mia interpretazione, perché il romanzo rimane volutamente ambiguo, quasi volesse sfidare il lettore a leggere con attenzione e trovare da sé il bandolo della matassa.

Da qualche parte, ad esempio, ci ho letto anche un altro genere di critica, quello per cui il mondo ha bisogno del terrorismo e della guerra in generale, perché è l’unica via attraverso la quale si sviluppa la tecnologia, di cui poi si beneficia anche in periodo di pace. Nel romanzo, Joe vive in un futuro parallelo al nostro (se vogliamo leggerla così), lo si capisce quando vede un giornale datato 11 settembre 2001 e non fa una piega. Eppure la tecnologia è ai livelli degli anni ’60. Sembra di stare in Mad Men. Il mondo di Joe, d’altra parte, è privo del concetto stesso di terrorismo (inizia nel Laos che è ancora una monarchia e non una repubblica – forma di governo instaurata dopo una guerra civile), e l’unica guerra degna di nota pare essere la seconda guerra mondiale. Il che significa che vive in un mondo relativamente pacifico, ma sottosviluppato tecnologicamente. Ora, che grazie alla guerra la tecnologia progredisca è un dato di fatto. Se ribadire ciò era l’intento di Tidhar, però, non ne ho idea.

In conclusione

So che, con ogni probabilità, questo non è il genere di libro cui il target del mio blog è interessato, né questo lo stile di recensione che attira i lettori su questi lidi, ma io Osama di Lavie Tidhar ve lo consiglio lo stesso, perché è un ottimo romanzo, che intrattiene e fa anche riflettere.

Ovviamente in Italia non lo vedremo mai (siamo pazzi? cazzo ce ne frega di Tidhar, quando possiamo importare Amanda Hocking!), ma in virtù dello stile “popolare” che Lavie Tidhar mutua dai romanzi pulp degli anni Cinquanta e Sessanta, il romanzo risulta di facile lettura anche per chi non ha un livello di inglese avanzato.

Per cui il mio verdetto finale è: compratelo, anche se Osama bin Laden ormai se lo stanno mangiando i pesci e la psicosi generata dall’undici settembre non è più parte della vita quotidiana di ognuno, come poteva esserlo stato dieci anni fa.

Voto finale