Uno dice: va beh, mancano una decina di giorni alla fine dell’anno, non potrà più capitarmi niente di particolarmente eclatante. E invece dicembre non delude mai. Così, all’improvviso, come quella maledetta neve che un momento prima sembra innocua e il momento dopo ha paralizzato la circolazione stradale, mi capita di leggere il libro più butto di tutti i tempi.

Oh, no, non è un’esagerazione drammatica allo scopo di far apparire il blog nei motori di ricerca. È un dato di fatto. Scusa, Koshun Takami, i virtuosismi linguistici da bambino delle elementari del tuo Battle Royale non bastano più; scusa Chuck Palahniuk, che con Invisible Monsters ti ci eri impegnato a scrivere la più grossa cagata pubblicabile, e non poco;  ma scusami soprattutto tu, Elisabetta Vernier, tu che da ottobre detenevi il titolo di “Peggiore scrittrice mai pubblicata”. Qui non c’è paragone.

Facciamo un po’ di background. C’era una volta una collana edita da Mondadori (e non dalla Speraindio Editore di Vergate sul Membro) che si chiamava Epix. Epix era una collana da edicola dedicata a racchiudere tutti quei romanzi che, per un motivo o per l’altro, non andavano bene nelle altre tre grandi collane per edicola Mondadori, il Giallo Mondadori, Urania e Segretissimo. Si trattava principalmente di romanzi horror, fantasy, urban fantasy e soprannaturali. Ora, che cosa è successo a Epix? È morta dopo appena 15 numeri. Requiescat in Pacem. Ma perché questo fallimento? Poche vendite. Già, e viene da chiedersi, a questo punto: perché poche vendite? Beh, letto Abel, numero 9 della collana Epix, la risposta viene spontanea: pubblicavano libri dimmerda.

Sì, ho detto di merda. Abel di Claudia Salvatori è un libro di merda. Non indorerò la pillola a nessuno. Mi sono fatto due palle quadrate a leggerne la metà (perché a pagina 130 l’ho buttato via, per inciso) e ora esercito il mio diritto di critica.

Comunque, arriviamo al succo, che di cose da dire, ahimé, ne ho parecchie.

La scheda del libro

Abel di Claudia Salvatori

Pubblicato da Mondadori

Anno 2009

272 pagine (di cui 130 lette – fin troppe)

Numero 9 della collana Epix

Il link per acquistarlo online non lo metto neanche sotto tortura.

La trama (?)

Dunque, di cosa parla questo aborto? Non lo so. Nel senso che non sono riuscito a leggere oltre pagina 130, perché, per quasi metà libro, non succede niente. Ma proprio niente.

Anzi, a ben pensarci qualcosa succede: la Salvatori ci descrive quanto è gnocco e quanto è figo Abel Alive, il protagonista. Ecco, la prima parte del libro è interamente occupata dalla gnoccaggine di Abel Alive, semizombie ventenne.Abel Alive che testimonia a un processo, Abel Alive che parla con la sua ex fiamma avvocatessa, Abel Alive che è tormentato dagli incubi, Abel Alive che va al lavoro. Per le prime 130 pagine non c’è un motivo che spinga all’azione Abel Alive, e soprattutto non spinge il lettore a continuare la lettura. Non un solo motivo, a parte leggersi le avventure di un mezzozombie fighissimo. No, grazie, per me non è sufficiente.

La quarta di copertina, però, prometteva questo:

Il luogo: un’Europa un pò America, un pò museo e un pò Terzo Mondo. Il tempo: un futuro che è già cominciato. E che è popolato di mostri. O forse no? Dopo un’intera storia di stragi di innocenti, l’umanità sembra aver finalmente superato la paura della diversità, ogni tipo di diversità. I mostri, da sempre nel sottosuolo, ora sono fra noi, allo scoperto, parte integrante del quotidiano. In questo gigantesco hinterland metaurbano di nebbie inquinanti e personalità borderline, tra possibile e impossibile, tra umani e non umani, si muove Abel, re degli zombi. Al suo fianco, una piccola zombi adottata da una coppia di umani. Nessuno è mai ritornato dalla grande tenebra in così tenera età. Indagando l’enigma, Abel viene risucchiato in un intrigo mostruoso (o forse fin troppo umano). Tra omicidi nell’ombra e rivelazioni crudeli, nel vortice dei paradossi di una società multi-tutto, Abel sarà costretto ad affrontare il cuore di tenebra che cela le sue stesse origini. Tutta la strada fino all’enigma terminale: umano, mostruoso… o entrambi?

Dove sono gli omicidi? Dove sono le crudeltà? Dov’è la motivazione che mi spinge a leggere nelle prime 130 pagine? Non c’è, non esiste proprio. Perché la prima metà del libro è priva di tutto.

A parte i mostri.

Ah, i mostri, lì sì che la Salvatori ha dato il meglio di sé. Perché ha giocato a reinventare le figure classiche dei vampiri e degli zombie. E ha fallito miseramente.

Ad esempio, degli zombie dice che tornano in vita dopo la morte – duh! -, peccato che si dimentichi di spiegare come. Eh, ma basta volerlo. Sì, ma come avviene? E chissenefrega, tanto è fantasy!

Inoltre, la vita degli zombie non è infinita. Come è logico supporre, prima o poi i loro corpi si deteriorano fino a distruggersi, in quello che si chiama “inverno zombie”.

Lady [una zombie] emette un suono basso, di ventre, come un animale in agonia, e comincia a gorgogliare. Ruota la testa disarticolata emettendo dalla bocca una bava schiumosa, rossa e verdastra, con striature gialle e del colore degli escrementi.

«È… è così che si fa quando…» dice la ragazza zombi dai capelli azzurri, atterrita. Nessuno in quella stanza, a parte Lamb, ha mai visto l’inverno zombi. Ora Lady ha perduto la sua immobilità, sembra anzi animata da una vitalità frenetica, anche se impazzita. Si alza di scatto, ma una nuova frattura, stavolta del femore, la fa crollare a terra come un burattino. Un altro schianto di ramo secco: un braccio. Lady geme e si agita, sputa i suoi denti insieme alla bava, e di colpo dalla vagina e dallo sfintere anale escono torrenti di quella stessa sostanza organica. Non è merda, né vomito, né sangue. Non è la putrefazione degli zombi prima del vaccino Alive. È quello che accadrebbe a un essere umano se potesse continuare a vivere oltre la morte per vecchiaia. Lo scheletro che cede, il corpo che espelle gli organi interni disfatti, in un prolasso simile al rovesciamento di un guanto. Inverno zombi.

Ecco più o meno come avviene l’inverno zombie. Prego notare anche la scrittura allucinante e il narratore onniscente. Ecco, perfino nelle parole sconclusionate della Salvatori si capisce che l’inverno zombie non è propriamente una figata da sperimentare a tutti i costi. Anzi, gli zombie lo temono e vogliono evitarlo. Potrebbero suicidarsi, allora?

Apparentemente no.

Gli zombi, per qualche misteriosa ragione inerente alla loro condizione, diversamente dagli altri mostri non possono commettere suicidio. Ma questo non significa che non desiderino accelerare la loro ultima morte e risparmiarsi gli orrori dell’inverno zombi.

Quindi gli zombie non possono suicidarsi. Ma per quale stracazzo di motivo? Non si sa, tanto è fantasy!

A questo punto, e siamo nelle primissime pagine, io già avevo le palle girate. Ok, la Salvatori vuole sovvertire gli stereotipi della narrativa horror, creando una nuova società popolata da creature tipiche.

Però perfino quella gran capra (e pure un po’ Milf) di Stephenie Meyer si è sforzata di spiegarmi perché quella checca del suo Edward Cullen era bello libero di andarsene in giro di giorno. Una spiegazione stupida – viveva nel paese più buio d’America – però pur sempre una spiegazione. La Salvatori nemmeno quello, si è rifiutata di usare un paio di neuroni per inventarsi una schifosissima spiegazione. Tanto è fantasy, vero?

Un pratico segnapagina per il libro della Salvatori.

I personaggi

O meglio, delle allegre sagome di cartone che vorrebbero essere dei personaggi.

Di Mr. Abel Alive e della tendenza a farlo risultare il più fico fichissimo ficherrimo semizombie del mondo ho già detto. Però vale la pena di spenderci ancora du e parole. Abel Alive è gnokko, dicevo. E in quanto gnokko non ha bisogno di essere descritto.

Infatti la Salvatori dice:

Non ha nulla di eccezionale, a parte una bellezza tagliente come una spada.

Il che è ridicolo. Non descrivi il protagonista del tuo romanzo perché non ha bisogno di essere descritto in quanto si adatta perfettamente alla figura del bel teneborso già descritto da mille altri scrittori.

Ah, no, aspettate, una descrizione in realtà c’è. Ed è questa:

Modi semplici, da cui emana un’autorità naturale. I modi di un padrone adolescente pieno di bontà illuminata, che ascolta il polso del mondo e vuole curarne la febbre.

Beh, se anche voi vi state contorcendo a terra in presa a conati di vomito, sappiate che non siete i soli. Dio santo, Salvatori, se Abel è pallido, di’ che è pallido! Al massimo “pallido come il riflesso della luna in una pozzanghera”. Non scrivi: “La pelle di Abel era del colore dell’imprescindibile, come se dietro il suo candore vi fossero odio, speranza, morte e la tenacia dell’ultimo baluardo di un’umanità dissolta”. Frasi del genere fanno tanto Chuck Palahniuk, ma non sono descrizioni, sono merda.

E, ovviamente, in quanto giovincello affascinante che Ryan di O.C. gli fa una pippa, Abel sa sempre come uscirsene con frasi a effetto:

Il silenzio cala fra loro, separandoli definitivamente.
«Fa’ accostare la macchina, Bethany. Voglio scendere.»
L’auto sta attraversando una discarica di vecchi copertoni bruciati, disciolti in mucchi di liquame nero che sembra animato da un’orrida vita.
«Ma qui siamo in mezzo al nulla.»
«Il nulla è casa mia.»

Egli è un poeta! Veneriamolo!

In sostanza, Abel Alive è uno stereotipo vivente, un bel tenebroso ridicolo e stantito. Ma è anche l’unico personaggio ad avere un minimo di personalità. Gli altri sono solo macchiette. E quando dico macchiette intendo proprio personaggi scritti talmente male – per la manifesta incapacità dell’autrice a mostrare un personaggio anziché raccontarlo – da far rimpiangere i virtuosismi di Elisabetta Vernier.

Prendiamo ad esempio i genitori umani della bambina zombie Bianca. Ecco come li descrive la Palahniuk delle edicole Mondadori:

La madre adottiva solleva Bianca e la colloca sul sedile di una giostra. Spinge il sedile per farla girare, in un movimento regolare, prudente. La piccola indossa una mantellina rossa con cappuccio. Una figura minuscola dal volto nascosto, che gira e gira nella nebbia. Una non morta in un cimitero privo di veri morti.
I genitori affidatari si avvicinano al gruppetto dei mostri, che se ne stanno in disparte, scettici. C’è della timidezza nell’atteggiamento degli umani, e una specie di piaggeria. Sono emozionati e li guardano come un sogno fatto realtà. Snobismo, pensa Abel: si sentono evoluti e colti, avendo a che fare con loro; sentono di dare la scalata all’élite progressista con un figlio mostro. Ma non sfugge ad Abel che il rispetto sottomesso è riservato solo a lui, al vampiro dall’aspetto affascinante, al professore. Quando i loro sguardi cadono su Maria, è come se l’attraversassero con lo sguardo.

Capito? Il narratore ci dice che i genitori di Bianca sono solo degli snob che hanno adottato la baby zombie per farsi belli e avanzare nella scala sociale. Ora, se la Salvatori fosse stata una scrittrice in grado di scrivere, non avrebbe avuto bisogno di scriverlo, lo avrebbe fatto capire attraverso le azioni e gli atteggiamenti dei genitori adottivi. Ma poiché la salvatori è un’incapace, deve dirlo, comunicarlo al lettore nero su bianco, con violenza. “Prendi questo come un dato di fatto e non rompermi le palle, lettore di ‘sta minchia.”

Ecco qual’è il problema del libro. La Salvatori non ha un minimo di rispetto per il lettore. Anzi, con la sua prosa idiota, incapace di descrivere e che fa del pretenzioso virtuosismo la sua ragion d’essere è come se gli sputasse in faccia, al lettore, pagina dopo pagina.

L'orrore, l'orrore!

Vorrei essere un’autrice di culto

Al di là della trama raffazzonata e basata unicamente sulla figaggine dello stereotipatissimo personaggio di Abel Alive, come dicevo prima, quello che mi ha davvero disgustato del libro della Salvatori è lo stile. Uno stile, lo ripeto, pretenzioso, barocco (in senso spregiativo), snob. Sembra quasi che provi gusto a inanellare aggettivi a cazzo senza in realtà descrivere cosa si vede.

Ma partiamo con ordine, dall’incipit.

N13. Un luogo qualunque di un’Europa che è un’immensa città, divisa in sezioni alfabetiche e numeriche. Ci sono ancora i monumenti di Praga, le rovine romane, la cattedrale di Notre-Dame, i palazzi di Venezia, i castelli e i monasteri, ma si sono smarriti.
In ogni luogo, non si sa dove ci si trova.
È il crepuscolo, ma potrebbe essere l’alba o il primo pomeriggio, in questo giorno di fine novembre. Il cielo è coperto dal buio, dalle nuvole di tempesta, dalla nube di gas tossico combustibile che sovrappone una falsa luminosità al sole perduto. La luce è perciò giallo-arancio, da bordello, intensa e accecante; provoca malattie della cornea e danni spesso irreversibili alla retina.
Sorvolando dall’alto questo brandello di mondo non si vede nulla di vivo, tranne i tetti a terrazza catramati venati di spaccature, le cime dei grattacieli erosi, i cantieri di costruzioni con le gru rampanti come dinosauri metallici (cantieri fermi da mesi, a volte da anni), i cimiteri di automobili, le discariche, i nastri delle autostrade che si intrecciano e annodano come fiocchi d’asfalto.
Piove da giorni, sgocciolando e ruscellando; piove come a voler piovere anche nelle anime, trascinando acqua fetida, fango e sbocchi di fogna; e dalle anime rigurgita ancora pioggia.
Planando e abbassandosi verso le macchie boscose di antenne paraboliche, scendendo ancora, ci si inoltra in un vicolo stretto sul quale le cime degli edifici sembrano chiudersi in un arco a sesto acuto, ma è solo un’illusione ottica. Dalle grondaie una cascata gelida e compatta piomba sul selciato rotto, rompendosi in spruzzi acidi. Nel vicolo allagato, fra cumuli di spazzatura fradicia, si affacciano l’ingresso posteriore di un ristorante cinese e un seminterrato che un tempo era un’officina meccanica. Le finestre del seminterrato, al livello del terreno e protette da grate, si aprono.
Una lunga mano pallida apre lo scuro con un gesto di eleganza suprema. La macchia chiara di un viso appare e poi scompare, un viso umano che assomiglia a un’immagine su uno schermo cinematografico.
Karel comincia la sua nottata.

Ora, come già avevo detto, io degli incipit tendenzialmente me ne sbatto. Però questo è l’incipit più raccapricciante della storia della letteratura universale. Che cosa c’è che non va? Intanto la frase: Il cielo è coperto dal buio, dalle nuvole di tempesta, dalla nube di gas tossico combustibile che sovrappone una falsa luminosità al sole perduto. O il cielo è buio, o è illuminato dai gas. Le due cose non possono logicamente coesistere. Mi fisso sulle piccolezze? No, è la Salvatori che si fissa sulle brutte descrizioni.

Poi abbiamo un autentico capolavoro dall’inettitudine. Piove come a voler piovere anche nelle anime. Ma che minchia significa?

E, come è giusto che sia per tutte le cose scritte da persone che farebbero meglio a dedicarsi all’allevamento di cactus, dopo una descrizione lunghissima non si è comunque capito niente.

Ecco un posto di lavoro che sarebbe l'ideale per la Salvatori. La paga non è granché, ma non c'è una sola macchina da scrivere nel raggio di chilometri!

Vabbè, faccio un rapido copia incolla di altre frasi di merda e poi la smetto. Leggere libri brutti e scritti da una che ti prende in giro come la Salvatori è frustrante, figurarsi recensirli.

Le parti del corpo visibili, volto, collo, petto nudo e mani, sono segnate dalle stigmate della decomposizione.

Allora, se le parti del corpo sono visibili, è ovvio che il petto sia nudo.

E ancora:

Lo zombi ha un’espressione da Alba dei morti viventi, decisamente idiota. Una non-espressione.

Questa descrizione è un’offesa alla pubblica decenza. Lo vedete come la Salvatori, essendo incapace di mostrare, ricorre a concetti che il lettore ha già nella mente? Qui non ti dice com’è fatto lo zombie (perché non ne è capace), ma rimanda il lettore a ripescarsi l’immagine mentale dello zombie della filmografia canonica. Una vergogna.

E ancora:

Osservandolo meglio, però, si vede che qualcosa di assolutamente non comune ce l’ha: una grande dolcezza e umanità. È come se fosse più fortemente, più intensamente umano di come un umano possa essere.

Poi la Salvatori mi spiegherà come si fanno a vedere dolcezza e umanità.

E ancora:

È disposto a sopportare il ribrezzo pur di non morire solo, abbandonato come l’ultima delle cose abbandonate.

A Salvato’, se non sai fare le similitudini – che comunque si imparano alle elementari, ti consiglio di dare una ripassatina al sussidiario di quarta – non ti ci cimentare. Abbandonato come l’ultima delle cose abbandonate è come dire Rosso come un oggetto rosso.

E ancora:

Una chiesa barocca erosa da un milione di epoche barocche, incastrata in un’architettura di vetro, metallo, plastica e cemento.

Cioè come?! Come minchia è fatta questa fottutissima chiesa?!

E ancora:

Maria li presenta: Stephanie e Alvaro D’Aquino. Lei minuta, capelli castani, modi squisiti, grazia da piccolo roditore. Lui grassoccio, pomposo, contegno benevolo con qualche scatto sotterraneo di insofferenza. La stessa vaghezza ondivaga, declinata in due differenti stili. Benestanti. Classe media, professionisti precari che erodono con lentezza e oculatezza il patrimonio ereditato dalle generazioni precedenti.

E questa sarebbe una descrizione? Questa, cara Salvatori, è un’accozzaglia di aggettivi condita con finti virtuosismi linguistici che non mostra i personaggi (i genitori di Bianca), mi fa solo incazzare. Impara a scrivere, Dio santo.

E ancora:

È un vampiro di una magrezza estenuata, pelle di un biancore malsano, capelli e occhi chiarissimi che si confondono con il chiarore della luna.

Certo, chi non ha mai confuso degli occhi con una palla di 3.500 km di diametro distante 4.700 km dalla Terra? È un errore comprensibile.

E ancora:

Ma è mai stato veramente bambino, con la saggezza millenaria del mostro contenuta dentro di lui? Viceversa, può dirsi adulto oggi che ha distrutto tutte le certezze, tutte le regole sociali, facendole apparire vuote formule, simulacri irreali?La vecchiaia della mente trascolora spesso in una nuova infanzia, più ricca e forte.
Che cosa significa essere mostri bambini? Un bambino e un adulto nello stesso corpo? Ma qual è il bambino, e quale l’adulto?

Ma ‘sto vizio del cacchio di inserire le domande retoriche nei libri ce lo vogliamo far passare? Se non hai idea di cosa significhi essere mostri-bambini (e Abel almeno un’infarinatura dovrebbe averla, visto che lo è stato), non venire a chiederlo a me: io sono ancora impegnato a capire cosa significa piove come se volesse piovere anche nelle anime.

E ancora:

Uno dei dettagli più raccapriccianti è che i Karamazov, figli di un ubriacone psicolabile e di una strega povera, per tutto il tempo in cui avevano torturato la loro vittima avevano portato con sé la sorellina Sonija.

E qui ci scappa il porcone. Non solo devo leggermi le peggiori descrizioni di sempre. Non solo. Mi tocca anche sorbirmi errori di sintassi? Avevano portato CON LORO, dannazione, non CON SÈ, capra!

E poi basta perché sono veramente stufo di essere preso in giro da gente come Claudia Salvatori.

Conclusioni

Il libro è uno schifo. Non compratelo, non scaricatelo, non leggetene estratti. È una malattia infettiva e come tale va trattato: evitatelo. E se ne avete una copia a casa, datele fuoco.

A Claudia Salvatori posso solo consigliare di riprendere in mano la grammatica della lingua italiana, di smettere di credere di essere una scrittrice di culto e che ciò giustifichi i suoi pretenziosi virtuosismi. E, soprattutto, di smettere di prendere per il culo i suoi lettori.

Voto finale Sarebbe -1.000.000.000.000/5 ma, rifacendomi ad aNobii 1/5

Linkini vari

Il myspace di Claudia Salvatori

Il profilo Facebook di Claudia Salvatori

Un’intervista-leccata su ThrillerMagazine (Notare: le viene chiesto come mai non è ancora travolta da un successo commerciale. La risposta, caro il mio intervistatore è semplice: la Salvatori non si merita di essere travolta da niente che non sia uno schiacciasassi)