Avete presente quando avete un libro da leggere ma continuate a temporeggiare e temporeggiare, fino a che passa quasi un anno e voi ancora non l’avete letto, poi finalmente lo prendete in mano e… woah, è il miglior libro della galassia e vi sentite tanto sciocchi per non averlo letto prima?

Ecco, con Garden – Il giardino alla fine del mondo, distopia tutta italiana dell’esordiente Emma Romero pubblicata nientemeno che da Mondadori, succede esattamente il contrario.

La scheda del libro

Garden – Il giardino alla fine del mondo di Emma Romero
Pubblicato da Mondadori
Anno 2013
270 pagine
Il libro su Amazon (disponibile anche in edizione digitale)

Che cosa succede

Maite è una ragazza di sedici anni che vive in una società brutta e cattiva e che fa piangere i coniglietti, in cui il governo brutto e cattivo e che fa piangere i coniglietti controlla ogni cittadino ventiquattr’ore su ventiquattro, avendo cura che tutte le regole brutte e cattive e che fanno piangere i coniglietti siano ferreamente rispettate. Il cittadino che infrange le regole incorre in pene brutte e cattive e che fanno piangere i coniglietti.

Nella società brutta e cattiva e che fa piangere i coniglietti in cui vive Maite, l’occupazione di una persona è decisa, durante la cerimonia dell’Assegnazione, per il resto della sua vita, da un’intelligenza artificiale. La divisione è talmente ferrea che, ad esempio, solo a coloro che vengono designati come Artisti è concesso praticare le arti. Al resto della popolazione è proibito cantare o ascoltare musica, un po’ come nella città di Footloose. Maite fin dalla più tenera età è stata selezionata per lavorare in una grande fabbrica che produce… cose. Ma Maite è uno spirito libero e a lei piace cantare.

Così, quando il governo brutto e cattivo e che fa piangere i coniglietti la scopre a cantare, Maite viene fatta prigioniera, giusto in tempo per la cerimonia annuale in cui il governo (brutto e cattivo e che fa piangere i coniglietti) plagia i vangeli e lascia scegliere al popolo quale dei condannati salvare dalla pena di morte. Lì Maite deve scappare per salvare la sua vita e quella di due suoi amici che sono stati arrestati più o meno assieme a lei, districarsi all’interno di un inutile e patetico triangolo amoroso, e trovare il benedetto giardino alla fine del mondo, che dà il titolo al romanzo ma che non ha alcuna rilevanza a livello di trama.

Che cosa ne penso

Dire “questo libro fa schifo” sarebbe facile. E vero. È scritto male, ha una trama atroce, raffazzonata, con personaggi privi di spessore e personalità. Ma sono convinto di potermi esprimere in maniera più complessa di così. Non che ci si debba mettere molto a stroncare Garden, visto che è ovvio che la sua autrice non ci abbia messo chissà quanta riflessione prima di scriverlo, ma tant’è.

Garden è una distopia. La distopia è un genere letterario che presenta una società molto spesso autoritaria, in cui le normali regole sociali sono distorte nella peggior maniera possibile. Ma non solo. La distopia è anche una lente deformata attraverso la quale un autore di fantascienza (ebbene sì, care teenager sul web che pensano il contrario: la distopia È fantascienza) indaga la propria realtà enfatizzandone attraverso un’iperbole negativa alcuni aspetti controversi, non di rado per fare un discorso politico sull’intrinseca pericolosità degli stessi. Ad esempio, Ayn Rand nella sua novella Antifona chiama il suo protagonista Equality 7-2521 e utilizza nella narrazione in prima persona solo pronomi plurali, segno che il focus della storia sono i danni del collettivismo socialista. Cosa simile, ma con un ciccino più di grazia, fa Yevgeny Zamyatin nel suo romanzo Noi. Fahrenheit 451 parla di censura, specialmente durante il maccartismo, periodo in cui il romanzo è stato scritto. 1984 è chiaramente un’analisi del totalitarismo su modello dell’Unione Sovietica. Perfino i più recenti Battle Royale e The Hunger Games, pur presentando premesse abbastanza simili tra loro, affrontano temi sociali completamente diversi: critica del sistema scolastico giapponese il primo, critica della spettacolarizzazione della sofferenza nei reality show il secondo.

Ciò che accomuna tutti i romanzi distopici, dall’avvento del genere fino a oggi, è la riflessione critica su un tema sociale del presente attraverso una distorta immagine futura.

E qual è il tema sociale di cui parla Garden?

Ebbene.

Garden è un pessimo romanzo prima di tutto per l’intrinseca inutilità del suo elemento distopico. La società è brutta e cattiva e fa piangere i coniglietti. E basta.

Perché è brutta e cattiva e fa piangere i coniglietti? Perché lo dice l’autrice. Ora sta’ zitto e continua a leggere di Maite la ribelle.

Il world building, oltre a non significare una beata fava, è atrocemente mal congegnato. Emma Romero mette ben in chiaro sin dall’inizio che i cittadini sono sempre e costantemente controllati dal governo, ma poi non è in grado di decidere se la sorveglianza sia solo audio o anche video, e cambia le due quando le fa comodo. Oh, Maite e love interest #1 devono passeggiare e scambiarsi tenerezze? La sorveglianza è solo video. Maite deve parlare col fratello della sua amica imprigionata? Non può perché la sorveglianza è solo audio. Maite deve mettere k.o. una guardia? Non c’è nessuna sorveglianza. E così via. Inoltre, tutte le microspie della nazione sono controllate in un solo luogo, il backup non esiste. E al luogo in questione chiunque può accedere tramite password, quando invece, vista l’importanza tattica del centro di controllo, sarebbe stato più logico impiegare un sistema di riconoscimento un filino più univoco, tipo lo scan delle impronte digitali o della retina.

Poi abbiamo la rivelazione finale. Che fa acqua da tutte le parti.

Per una serie di fortunate coincidenze (giacché la storia procede grazie a esse, non per merito delle capacità intrinseche di Maite) un’artista di nome Lucilla viene uccisa per sbaglio e il presidente Octavio, che si è mezzo infatuato di Maite, le concede di prendere il suo posto. Dopotutto Maite ama cantare, no? Però Lucilla non è un’artista qualunque, è la migliore cantante della Signoria. Eppure il presidente Octavio trova perfettamente logico sostituirla con Maite, una ragazza che vive in un mondo in cui cantare è vietato per legge e che non ha mai ricevuto alcuna formazione professionale. Vabbè. Grazie alla sua nuova posizione, e all’aiuto di love interest #2, che è anche il figlio del presidente, Maite riesce a distruggere l’ordine sociale. Come? Durante la festa nazionale per l’anniversario di non-mi-ricordo-cosa, lei e love interest #2 mandano in onda un video in cui tutte le bugie del regime vengono smantellate.

Sul serio, un video provoca una rivolta.

È un po’ come, chessò, convertire al capitalismo un’intera nazione socialista scolpendo una statua.

Cara Emma Romero, la conversione tramite media non funziona. Fidati, lo so per esperienza, perché anche io, all’epoca giovane e inesperto, ho scritto un romanzo distopico (che poi ho messo via, non l’ho dato da leggere alla Mondadori, perché sapevo che ero solo uno scrittore inesperto e la storia faceva acqua da tutte le parti) in cui il protagonista si convertiva alla causa dei ribelli perché la coprotagonista gli metteva davanti un video che mostrava le atrocità che avvenivano a pochi passi da lui senza che lui nemmeno se ne accorgesse. Credo di aver usato anche una frase a effetto sui bambini che morivano di fame (perdonami, Stephen King che sei nei cieli). Già all’epoca, e avevo quindici anni, la conversione via filmato mi suonava maluccio. E perché? Se a me dicessero “tutto quello che ti circonda è una bugia” io avrei difficoltà a crederci, perché sono nato e cresciuto in “tutto quello che mi circonda”, “tutto quello che mi circonda” è la mia realtà e, per quanto distopica possa essere, prima di abbandonarla per abbracciare l’ignoto ci penserei due o tre volte.

Il video di Garden, inoltre, non sembra essere in sé stesso una prova inconfutabile della malvagità della società. In esso si dice che non esiste alcuna Assegnazione, in pratica il lavoro che uno svolge per tutta la vita è assegnato casualmente e non da un computer. Embè? Per una persona che cosa cambia? Il succo è comunque che uno deve svolgere lo stesso lavoro per sempre, il succo non cambia sia con un’Assegnazione computerizzata, sia con una casuale. E ancora, le fabbriche, rivela il video, non producono macchinari ma armi per una nuova guerra. E allora scusate, ma gli operai sono stupidi? La gente distingue le armi quando le vede nel filmato ma non mentre ce le ha tra le mani nella catena di montaggio?

Ma nel romanzo la conversione telematica funziona. E questo perché, oltre a essere scarsa nel world building, Emma Romero non è nemmeno granché brava con la caratterizzazione dei personaggi. Maite, ad esempio, è nata e cresciuta nella società dell’Assegnazione. Non è che ha vissuto un tempo felice in cui la vita era più facile e si potevano mangiare anche le fragole. No, Maite dovrebbe essere un prodotto della società in cui vive. E invece suona come un’adolescente ribelle del 2013. Uno si aspetta che dopo una vita passata a obbedire, scatti un minimo di introiezione delle norme sociali, o per lo meno di sindrome di Stoccolma. Obbedire alle regole perché sono regole, perché lo dice il governo, perché è quello che abbiamo sempre fatto. Così dovrebbe funzionare una società estremamente autocratica come quella descritta nel romanzo. E invece Maite è una ribelle che vede l’ingiustizia nel mondo e a cui piace infrangere le regole.

No. Semplicemente no.

In conclusione

In due parole il mio giudizio su Garden sarebbe: è pessimo.

Pessimo perché è scritto male, e non sto parlando di carenze stilistiche – che ci sono, e sono quelle ravvisabili in gran parte degli esordienti. Emma Romero sa mettere insieme le parole in modo da farle suonare bene, le va concesso, ma presenta ancora alcune lacune. Ad esempio, per un buon troncone del romanzo si fanno riferimenti alla stanchezza di Maite. Solo che la Romero ci dice che Maite è stanchissima, eppure mai una volta ce lo mostra, accennando ad esempio a un mal di schiena, mal di testa, tristezza diffusa o che altro.

In realtà a fare acqua da tutte le parti è la costruzione del mondo distopico, che se lo si guarda con un minimo di attenzione, risulta spesso contraddittorio quando non del tutto illogico. La società totalitaria esiste nel romanzo così tanto per, non è un modo per lanciare uno sguardo nel presente, e il risultato è che il romanzo suona vapido e inutile.

Infine, la protagonista e i personaggi agiscono come se non fossero consci dell’ambiente in cui si muovono, non rispettano le regole sociali a cui si suppone si siano adeguati, e sono mal caratterizzati. Il triangolo amoroso è quanto di più inutile abbia letto da molto, molto tempo.

Garden – Il giardino alla fine del mondo è stato marketizzato come la prima distopia italiana (non lo è, ma così lo hanno pubblicizzato). Se tanto mi dà tanto, è un buon indicatore di quello che ci riserverà il futuro.

Voto finale

Piesse polemico: sarà un caso che ogni volta che c’è un brutto romanzo di un esordiente italiano pubblicato da una grande casa editrice, da qualche parte salta fuori il nome di Raul Montanari?