Ci sono delle volte in cui recensire un romanzo è superfluo. Ad esempio, difficilmente mi troverete a recensire I promessi sposi o Il signore degli anelli, per il semplice motivo che si tratta di romanzi così famosi e importanti che il discutere del fatto se siano validi o meno da un punto di vista narrativo per certi versi li sminuisce.

Se di questa categoria di romanzi si parla, non è per consigliarne o meno la lettura, o riassumerne la trama e analizzarne lo stile. Si dirà, però, che questo o quest’altro classico ha avuto un ruolo nel formare l’identità del genere, oppure ha influenzato questo o quest’altro autore moderno.

Il fantasy è un genere antico, il cui punto d’inizio può essere fatto risalire a Luciano di Samosata, autore di La storia vera, un’autobiografia parodistica in cui sono narrate le strabilianti avventure compiute da Luciano stesso al di là delle colonne d’Ercole. Questo senza menzionare l’enorme quantitativo di storie mitologiche che predatano Luciano.

Il fantasy come noi lo conosciamo, invece, è figlio dell’enorme influenza di J.R.R. Tolkien e del suo Il signore degli anelli. Ovviamente, dal 1954, anno di pubblicazione del magnum opus di Tolkien, ai giorni nostri di tempo ne è passato (stando a complicate operazioni matematiche elaborate da uno strumento scientifico ad alta precisione che i ricercatori del CERN di Ginevra chiamano “la calcolatrice di Google”, sessantadue anni) e il fantasy non se ne è stato certo con le mani in mano. Sebbene non siano più stati pubblicati romanzi della portata di Il signore degli anelli, è anche vero che ci sono stati romanzi importanti e a loro modo capaci di influenzare il genere.

In questa nuova serie di articoli, di cui avete appena letto il preambolo (HA-HA, vi ho fatto leggere un preambolo, HA-HA) andremo a dare un’occhiata a tutti quei romanzi che, in maniera molto arbitraria, ho deciso di chiamare i nuovi classici del fantasy. Anche se non esiste una vera e propria regola per stabilire che cosa faccia di un romanzo un nuovo classico del fantasy, in linea generale ho deciso di prendere in considerazione per questa rubrica romanzi che rispondono ai seguenti criteri: a) sono stati pubblicati dopo Il signore degli anelli; b) hanno lasciato il proprio segno sul genere, sia ispirando nuovi autori, sia originando un nuovo sottogenere; c) godono ancora oggi di una discreta popolarità, tale da rendere una recensione superflua.

Per il momento vorrei utilizzare questa rubrica per parlare di due serie, Il ciclo delle spade di Tad Williams e Il libro Malazan dei caduti di Steven Erikson.

Nella fattispecie cominciamo oggi a dare un’occhiata a Il trono del drago, libro uno del ciclo delle spade di Tad Williams. Pubblicato nel 1989, è il romanzo che mi ha dato l’idea per questa rubrica per due semplici motivi: Tad Williams stesso ha detto che la sua più grande influenza è Il signore degli anelli, e soprattutto questo è il romanzo che ha ispirato la mia serie fantasy preferita, che come dovreste sapere tutti è Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco di George R.R. Martin.

Per cui, parliamo di questo romanzo, vi va? Per prima cosa, la trama.

Il trono del drago è la storia di Simon, un giovane orfano che, sin dalla nascita, lavora come sguattero alla fortezza dell’Hayholt, dove risiede anche John Presbitero, l’anziano Gran Monarca dell’Osten Ard. Da giovane, John Presbitero ha unificato gran parte dei regni umani del continente e ucciso il drago Shurakai, ma al momento in cui comincia la storia il re è vecchio, indebolito e prossimo alla morte.

Dal momento che Simon è il tipico ragazzo che sogna grandi avventure ed è poco attento alla monotonia del suo lavoro di servitore, Rachel, la capocameriera, lo invia a occuparsi del dottor Morgenes, il guaritore del castello. Morgenes prende Simon come apprendista e gli insegna a leggere e a scrivere, mentre Simon realizza pian piano che il suo mentore custodisce non pochi segreti.

Quando re John muore, gli succede al trono suo figlio Elias, affiancato dal poco raccomandabile chierico Pryrates. Poco dopo, il fratello di Elias, il principe Josua, scompare misteriosamente. Sarà Simon a trovare per caso Josua, tenuto prigioniero in una segreta del castello e, con l’aiuto di Morgenes, lo libera. Fatto fuggire il principe Josua è il turno di Morgenes e Simon di mettersi in salvo, ma i soldati di Elias guidati da Pryrates li braccano e Simon si ritrova a dover fuggire da solo, inseguito e spaventato.

E da questo punto comincia una storia di guerra che contrappone i regni clienti dell’Osten Ard a re Elias, ma anche, sullo sfondo, una terribile minaccia che si credeva appartenesse solo al passato e alle leggende.

Il trono del drago è un romanzo fantasy di stampo più che classico, e in questo sta la sua forza, ma anche il suo limite.

Ci sono in realtà due storie che avvengono in contemporanea in Il trono del drago. La prima e più preponderante è la storia di Simon, della sua fuga e del suo viaggio per le terre dell’Osten Ard, che lo porteranno, dall’essere un insopportabile sguattero, sui binari per diventare adulto (trasformazione che, suppongo, si completerà nei romanzi successivi). La storia di Simon è una storia tipica, che segue quasi alla perfezione il classico viaggio dell’eroe – o per lo meno una parte, perché ci troviamo sempre tra le mani il primo libro di una trilogia. Si tratta di una storia estremamente classica, che sono certo nel 1988, anno di pubblicazione di Il trono del drago, avrà fatto breccia negli appassionati di fantasy. Si tratta anche, a dirla tutta, di una storia che, col senno di poi, tacceremmo di essere stata già raccontata trecentomila volte. E sono certo che qualcuno avrà avuto questa reazione anche sul finire degli anni Ottanta.

Quello che fa risaltare Il trono del drago, e che, suppongo, gli ha consentito di rimanere impresso nell’immaginario collettivo, è la sua componente politica. Con la morte di John Presbitero, l’ascesa al potere di suo figlio Elias, fiancheggiato da oscuri alleati, e il contrasto con il principe Josua, le terre dell’Osten Ard si ritrovano catapultate in un periodo di miseria e, soprattutto, guerra. È un grande conflitto, quello che si profila all’orizzonte, che minaccia di coinvolgere tutti i regni vassalli che fanno capo a re Elias.

Ci sono svariate culture che popolano l’Osten Ard, che sono tutte ispirate più o meno vagamente (nel linguaggio, nei nomi e in alcuni usi e costumi) alle culture del nostro mondo. Ad esempio gli Erkyniani, cui appartengono John Presbitero e la sua famiglia, sono modellati sull’Inghilterra medievale, ossia la tipica ambientazione del fantasy. I Nabbanai sono ispirati all’Italia medievale, e la loro storia rimanda all’impero romano, i Rimmeri sono di ispirazione sassone, con giusto quella punta di vichinghi, mentre gli Hernystiri sono una controparte fantastica delle popolazioni celtiche di Irlanda, Scozia e Galles.

La dice lunga che nelle seicento e passa pagine dell’edizione italiana di Il trono del drago, le parti più interessanti siano i giochi tattici di alleanze che coinvolgono il duca di Rimmersgard, la figlia del re degli Hernystiri e i nobili Nabbanesi. Mentre, d’altra parte, la storia di Simon non è granché interessante – e Simon stesso è un personaggio piuttosto difficile da farsi andare a genio.

Una spiegazione possibile è che, ora come ora, la gente si è stufata di leggere il solito romanzo fantasy con il prescelto che scappa di casa inseguito dal nemico, incontra per strada nuovi amici e pericoli, e alla fine confronta e sconfigge il signore oscuro. È il fantasy politico e militaresco a essere popolare di questi tempi, per questo la vicenda di Simon risulta un po’ di scarso interesse. C’è poi il fatto che Simon tenda a essere insopportabile e in più punti idiota (l’ho già detto che Simon è insopportabile? Mi pare di averlo già detto, ma è bene ribadirlo).

La fortuna di Il trono del drago, e quello che ha fatto di esso non solo un classico del fantasy, ma una storia che altri scrittori hanno preso come modello e ispirazione, risiede nella sua capacità di mischiare il fantasy classico con questo aspetto (ai tempi) più innovativo fatto di politica, strategia militare e intrigo.

Personalmente Il trono del drago non mi è piaciuto, per ragioni che sono facilmente estrapolabili da quanto scritto sopra. Ma l’ho letto qui, ora, nel 2016, anni dopo aver letto tutti gli autori che a Tad Williams si sono ispirati. So, tuttavia, riconoscerne i meriti. Il Ciclo delle spade di Tad Williams non solo ha ispirato Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco di George R.R. Martin, ma ha anche saputo influenzare autori che oggi sono di primo piano nel panorama del fantasy, come Robin Hobb, Robert Jordan e Patrick Rothfuss. Perfino Paolini deve parecchio a Il trono del drago e i suoi seguiti. E, sì, in parte anche Terry Goodkind. Del resto, se è stato definito il Tolkien americano un motivo ci deve essere.